So bene che tra le due notizie di ieri la maggior parte degli analisti preferirà occuparsi degli utili leggermente sopra le attese conseguiti da Citigroup nel terzo trimestre dell’anno, sbrigherò anch’io quindi al più presto la pratica dicendo che ha guadagnato 2,15 miliardi di dollari, attingendo però a riserve per poco meno di 2 miliardi di dollari, il che sta a dire che, escludendo il fieno messo in cascina in precedenza, il risultato del trimestre in esame sarebbe pari a poco più di 150 milioni di dollari (sempre meglio della perdita di oltre 3 miliardi di dollari patita nello stesso trimestre del 2009).
Mentre Citi brillava sui listini, non poteva non farsi notare l’andamento controcorrente di Bank of America che, almeno nella prima ora di contrattazione, continuava a perdere terreno come oramai fa da alcune sedute a causa del pasticcio delle procedure di esproprio fatte con ritmi di catena di montaggio, procedure piene di errori e/o omissioni, e sono molto curioso di vedere che conti presenterà per il terzo trimestre!
La notizia che, invece, mi ha colpito è quella relativa alla produzione industriale nel mese di settembre, caduta dello 0,2 per cento, una flessione che porta il trimestre luglio-settembre ad una crescita del 4,8 per cento, contro ritmi pari al 7 per cento registrati sia nel primo che nel secondo trimestre di quest’anno, ma anche una flessione che rappresenta la seconda battuta di arresto da quel giugno del 2009 che viene visto dagli ottimisti a un tanto al chilo come la data di uscita da quella che loro stessi definiscono la Grande Depressione.
Mi spiace sinceramente che le evidenze statistiche di questa ripresa siano cominciate ad arrivare più o meno quando ho deciso di prendere una pausa dal mio impegno quotidiano come cronista della tempesta perfetta, anche perché avrei ricordato quel fenomeno tutt’altro che sconosciuto che prende il nome di ciclo delle scorte, un ciclo che va di pari passo con l’esigenza degli imprenditori che non hanno deciso di chiudere i battenti di mandare comunque avanti le linee di produzione in attesa di tempi migliori, due fenomeni che tuttavia incontrano un limite ove la domanda non riprenda ed è appunto quello che verosimilmente sta accadendo adesso.
Ma l’estate è stata rivelatrice anche nel già di per sé disastro settore immobiliare, una stagione che è stata definita dagli addetti ai lavori la peggiore dell’ultimo decennio, e già che il 2008 e il 2009 non sono certo stati anni splendidi, commenti che avvengono in concomitanza della diffusione dell’indice che rivela gli umori degli operatori del settore di settore che nel mese di settembre è salito a 16 dopo essere stato a 13 sia in luglio che in agosto (come tutti gli indici della specie, anche questo indica espansione a livelli sopra 50 e recessione al di sotto di tale valore).
Gli stessi operatori continuano a vedere prospettive negative dovute all’elevato tasso di disoccupazione, alla lenta crescita dei posti di lavoro e alle politiche restrittive adottate dalle banche in materia di credito, tutti elementi che non inducono certo le persone ad acquistare case, tutte valutazioni negative che sembrerebbero contrastare con il ritorno dell’indice al livello di giugno, ma che sono facilmente spiegabili con un minimo di attività nel settore dopo la stasi pressoché totale registrata in luglio e in agosto.