La partita che Timothy Geithner, in tandem con Bernspan, sta giocando fuori casa nella ospitale Corea del Sud è certamente una partita dura, non fosse altro che si tratta di un consesso come il G20 dove gli esportatori abituali tedeschi e giapponesi possono contare sul sostegno dei paesi del Bric (Brasile, Russia, India e Cina), nonché sull’Arabia Saudita, un consesso veramente difficile per la sua proposta di limitare gli avanzi e i disavanzi commerciali ad un massimo del 4 per cento del prodotto interno lordo, una proposta che rappresenterebbe un colpo al cuore di Giappone, Cina e Arabia Saudita, ma metterebbe in serie difficoltà anche gli altri paesi che presentano da tempo un avanzo strutturale nei conti con l’estero.
Premettendo che la mia conoscenza della lettera inviata da Geithner agli altri 19 partecipanti di diritto, più Spagna e Olanda invitati permanenti, si basa sui reportage delle agenzie di stampa internazionali (ricche, più che di dettagli, delle reazioni alquanto stizzite dei ministri delle finanze dei paesi maggiormente colpiti), devo dire l’idea ricalca molto da vicino quella proposta a Bretton Woods nel 1944 da John Maynard Keynes e sonoramente bocciata da un lontano predecessore di Thimoty, tale White.
Certo quella della International Clearing Union era una proposta abbastanza diversa perché prevedeva una banca mondiale che avrebbe dovuto vigilare sugli scambi che sarebbero dovuti avvenire in una moneta denominata bancor caratterizzata da cambi fissi con tutte le altre valute, ogni nazione avrebbe avuto un conto che avrebbe visto addizioni (le esportazioni) e sottrazioni (le importazioni) e avrebbe dovuto avere a fine anno un saldo zero. La penalità prevista in caso di surplus eccessivi consisteva nel dirottamento in un conto di riserva di una percentuale dell’avanzo o del disavanzo.
Non essendo stata approvata, non sapremo mai quale sarebbe stata la soglia tollerata di spostamento dallo zero e, soprattutto per quanto tempo sarebbero stati tollerati scostamenti, ma è certo che il varo dell’ICU avrebbe impedito o reso meno incisive le turbolenze valutarie che stiamo vivendo dall’abbandono da parte degli Stati Uniti d’America della convertibilità del dollaro in oro al prezzo prefissato di 35 dollari per oncia.
Lo spostamento previsto da Geithner nel 4 per cento è certamente molto più ampio di quello ipotizzato da Keynes, ma è evidente, come traspare dalle parole del ministro delle finanze canadese, che l’alternativa all’accoglimento della proposta statunitense sarebbe quello di una svalutazione competitiva del dollaro dell’ordine di quella che avvenne dopo il G3 (USA, Germania e Giappone) di New York dei primi anni Settanta, meglio noto come il Summit del Plaza.