La notizia del blocco delle procedure di foreclosure non aveva prodotto ieri particolari reazioni da parte degli investitori, in parte perché presi dalle altre notizie della giornata, notizie di tenore positivo, ma anche tranquilli perché le azioni delle banche particolarmente coinvolte quotavano a sconto di un terzo rispetto ai massimi toccati sei mesi orsono.
Ben diversa la situazione odierna, con una discreta pioggia di ordini di vendita su Bank of America, che nella prima parte della seduta ha sfiorato una perdita del 6 per cento, ma sotto pressione anche J.P. Morgan-Chase, uno dei pochi colossi creditizi statunitensi ad aver retto sostanzialmente bene agli alti marosi della tempesta perfetta, con perdite di poco al di sotto dei tre punti percentuali.
Per chi non avesse letto la puntata di ieri del Diario della crisi finanziaria, va detto che le banche sono state costrette a sospendere le procedure di esproprio dopo che cinquanta procuratori di altrettanti Stati hanno avviato indagini per appurare se risponda al vero che le stesse banche stavano procedendo contro i mutuatari prima della scadenza dei termini che danno loro la possibilità di rivalersi sul debitore insolvente, se non, secondo un’accusa ancora più forte, modificando i termini del contratto al fine di anticipare i tempi.
I lettori più affezionati ricorderanno quante volte ho citato il caso di quegli sventurati che erano stati inviati nelle fabbriche prodotti delle banche di investimento o nelle divisioni di Investment & Corporate Banking delle banche più o meno globali per spacchettare i più fantasiosi tra i titoli della finanza strutturata, ma non pensavo di trovarmi di fronte ai robo-signers persone in grado di mandare alla disperazione svariate centinaia di famiglie al giorno, persone ancora più disperate perché convinte di tenere il passo con i pagamenti.
Eppure, nel lontano autunno del 2007, una donna al vertice di uno dei tanti enti federali, Sheila Bair, aveva capito tutto e aveva proposto che venisse adottato un piano coraggioso per dare modo ai mutuatari di poter rinegoziare i mutui in modo da evitare il pignoramento delle case, un progetto che partiva dalla realistica previsione che mandare milioni di case all’asta avrebbe fatto sprofondare il già traballante mercato immobiliare.
Imperando allora la filosofia conservatrice dei repubblicani, quella che prevede che chi sbaglia paga e neanche i cocci sono suoi, il piano di Sheila fu bocciato e solo più tardi vennero approvati programmi che hanno risolto il problema a poche decine di migliaia di mutuatari, mentre proliferavano le vendite all’asta che hanno provocato il tracollo dei prezzi, bloccando al contempo l’attività edilizia.
In questi giorni c’è, e a mio modesto avviso ha ragioni da vendere, chi dice che le banche dovrebbero ringraziare questo blocco e anche la paventata moratoria, perché rischiano di vedere una riduzione delle insolvenze e un recupero del valore degli immobili, che è poi quello che più dovrebbe interessare loro: un miglioramento della qualità degli assets.