Nei due anni e mezzo di vita del Diario della crisi finanziaria ho sempre sottolineato l’importanza dei dati relativi all’occupazione negli Stati Uniti d’America, un set di dati che comprende il Non Farm Payrolls, il tasso di disoccupazione, un indicatore specifico sulle assunzioni nel settore privato, un altro che misura i licenziamenti sempre nel solo settore privato e le richieste settimanali di sussidi di disoccupazione.
Si tratta di cinque indicatori che consentono di comprendere come sta andando il mercato del lavoro statunitense e che da quattro mesi a questa parte, come ha sottolineato in un discorso il presidente Obama, vanno tutti in direzione positiva, in aumento quelli relativi all’occupazione e in diminuzione quelli relativi alla disoccupazione e quello relativo ai licenziamenti.
I dati diffusi venerdì scorso indicano un aumento netto delle buste paga in marzo di 216 mila unità, un dato superiore alle previsioni degli analisti e alla crescita di 190 mila buste paga registrate in febbraio, mentre il tasso di disoccupazione si è portato dall’8,9 all’8,8 per cento, contro le attese che lo volevano tornare al 9,0 per cento, anche se un indicatore alternativo che tiene conto degli scoraggiati e coloro che sono costretti ad accettare un lavoro part time è passato dal 15,9 per cento al 15,7.
La maggior parte degli analisti è concorde nel ritenere che una prosecuzione di questo trend potrebbe indurre la Federal Reserve ad abbandonare la politica dei tassi prossimi allo zero per iniziare un ciclo di aumenti del costo del denaro, anche se è molto diverso il timing di questa inversione di tendenza, perché la maggior parte vede il primo aumento nel primo trimestre del 2012, mentre io ritengo che avverrà molto, ma molto più presto.