Oramai alle tante a autorevoli voci che si sono espresse sull'eccessivo e non più sostenibile numero di banche in Italia e sul conseguente corollario di un numero altrettanto eccessivo di banchieri e consiglieri di amministrazione nonché di dipendenti di ogni ordine e grado delle stesse aziende di credito manca solo la voce di Papa Francesco o degli esponenti degli ordini professionali e delle professioni liberali, tanta è l'unanimità di giudizio su quella, ovviamente mi riferisco ai banchieri e agli amministratori delle banche ma, nell'immaginario collettivo, anche i bancari vengono assimilati a questi ultimi, che è in fondo l'unica casta non toccata, nello status sociali e nelle elevate retribuzioni fisse e ancor più variabili, mentre le altre caste, sindacalisti inclusi, sono passate per le forche caudine di Tangentopoli prima e di libri dirompenti come la Casta dei bravissimi Sergio Rizzo e Gian Antonio Stella o, per quanto riguarda i sindacati, L'altra Casta del bravo giornalista economico de L'espresso, Stefano Livadiotti, o incappati in vicende successive che hanno contribuito ad incrinare definitivamente l'immagine dei politici, degli imprenditori e dei sindacalisti operanti nel Bel Paese, visti, ovviamente, come un insieme che ha tante e lodevolissime eccezioni, anche se le adesioni entusiastiche e dimessa ai vari condoni fiscali e scudi fiscali per il rientro dei capitali con penalità bassissime e garanzia di immunità non fanno che confermare un giudizio che è difficile definire positivo.
Ho dato conto, in diverse puntate del Diario della crisi finanziaria (segnatamente in Quanti banchieri e quanti bancari servono in Italia?), delle diverse prese di posizione a intensità crescente di nettezza e autorevolezza di coloro che esternavano, da Piercarlo Padoan a Matteo Renzi, passando per le valutazioni contenute nei Report dedicati all'Italia del Fondo Monetario Internazionale o dell'OCSE, per non parlare delle inchieste giornalistiche o dei commenti apparsi su testate italiane o internazionali, per giungere alle parole ultimative pronunciate nei giorni scorsi,dal Presidente della Banca Centrale Europea, Mario Draghi, in arte Super Mario, parole che fugano gli ultimi dubbi, ove ancora ce ne fossero, sulla necessità che il sistema bancario italiano compia l'ultimo miglio del suo più che ventennale processo di ristrutturazione e riorganizzazione puntando, anche grazie alle previsioni delle leggi approvate in via definitiva che riguardano due comparti molto affollati che sono quello delle banche popolari (ricordate quel una testa un voto che vigeva nelle loro assemblee) e in quello delle banche di credito cooperativo, a portare il numero delle banche, e come step intermedio, a 3-400 al massimo, il numero degli sportelli a ridursi di almeno un terzo, anche grazie alla sostituzione di parte delle dipendenze in agenzie ad alta automazione con presenza solo di una-due persone che danno informazioni e assistono le persone meno avvezze alle nuove tecnologie, mentre, per quanto riguarda il personale, non so se sono vere le cifre attribuite al presidente del Consiglio, Matteo Renzi, di un taglio compreso tra le 150 e le 200 mila persone (su un totale attuale che sfiora le 330 mila), ma quello che è sicuro è che il ridimensionamento degli organici non sarà di molto inferiore a quello che caratterizzerà gli sportelli.
La parola d'ordine, quasi il mantra, di tutti i più o meno autorevoli personaggi o istituzioni nazionali e sovranazionali che si sono espresse su questo delicato e molto intricato argomento è stata "fusioni" e non importa se tra pari o via acquisizioni con un non detto che però traspariva tra le righe dei testi delle loro dichiarazioni e, cioè, che stavolta saranno effettuate senza guardare in faccia a nessuno e non come quelle alla "voleremo bene" che hanno caratterizzato la nascita di colossi dai piedi d'argilla come Unicredit e Banca Intesa-San Paolo il Monte dei Paschi Siena, fino alla pur efficiente Ubi Banca.
Di fronte a tutto questo, in particolare in presenza della quantificazione numerica, poi sfumata se non quasi smentita, fatta da un poco cauto Matteo Renzi che pure ha un fior fiore di collaboratori sui temi economici, vi è stata una chiara tentazione, direi meglio un tentativo, di arrocco tra l'Associazione Bancaria Italiana e tutte le sigle sindacali di categoria che, dopo anni di divisioni, sono tutte raggruppate al primo tavolo, tutti impegnati a ribadire il fatto che la materia è di loro stretta pertinenza, anche se la recente dichiarazione del numero uno della CGIL nel settore, Agostino Megale, sulle modalità di vendite delle quattro banche derivanti dalla procedura di liquidazione di Banca Etruria e delle altre tre banche coinvolte nel default doveva portare alla vendita in blocco delle quattro entità in luogo della vendita a spezzatino, dichiarazione credo condivisa dai compagni di tavolo, fa capire come non vi sia consapevolezza del cruciale passaggio che il settore bancario italiano sta vivendo non in questa fase, ma in questi giorni e settimane!
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