Il titolo di questa puntata del Diario della crisi finanziaria mi costringe a fare un passo indietro di nove anni a quel giorno di agosto del 2007 quando un oscuro dirigente della Banca Centrale Europea fu chiamato a prendere la decisione della sua vita di fronte al fatto che il mercato interbancario europeo era completamente bloccato a causa del semplice fatto che le banche operanti sul Vecchio Continente rifiutavano di prestare denaro alle altre partecipanti al circuito innescando quella che nel sottotitolo del mio blog ho definito la più grave crisi di liquidità dal secondo dopoguerra mondiale, una situazione a cui la BCE fece fronte, dopo un frenetico giro di telefonate con il presidente e i consiglieri, tutti rigorosamente in vacanza, inondando letteralmente il mercato interbancario di liquidità, ma non risolvendo fino in fondo il problema della diffidenza che ognuna banca nutre nei confronti delle sue concorrenti, diffidenza proseguita in tutti gli anni successivi, ma che si è particolarmente acuita in questi ultimi mesi.
Ma essendosi originata negli Stati Uniti d'America, la tempesta Perfetta fu anche lì originata da un blocco pressoché totale della liquidità interbancaria, acuita in quel caso dal fatto che tutti sapevano che non vi era banca immune dalla presenza più o meno massiccia dei titoli della finanza strutturata, destinati a diventare a breve del tutto illiquidi, e anche in quel caso la Federal Reserve inondò di liquidità il mercato interbancario impedendo così, come avvenuto in Europa, lo scoppio di una crisi sistemica, ma non riuscendo ad impedire che, nel clima di diffidenza perdurante nel tempo, fosse proprio la decisione di alcune grandi banche a stelle e strisce di non fornire a Lehman Brothers l'accesso ai conti molto capienti che la stessa aveva presso di loro a determinare il default della storica Investment Bank americana, un comportamento scorretto ma esiziale, che fu poi stigmatizzato in sede giudiziaria e dal quale non fu esente la grande banca globale che, insieme a Mediobanca, si sta occupando dell'aumento di capitale del Monte dei Paschi di Siena attualmente rinviato a data da destinarsi.
Mi scuso per la lunga digressione, peraltro superflua per chi segue questo blog sin dal 2007, ma è necessaria per capire fino in fondo la pericolosità determinata dalla crisi, che al momento è più che altro una crisi di credibilità, di Deutsche Bank e della sopraggiunta fase di difficoltà di una Commerzbank che si credeva oramai risanata dopo la forte iniezione di fondi pubblici che ha portato lo Stato tedesco a detenere il 15 per cento del totale delle azioni, una crisi che ha portato le due grandi banche tedesche ad annunciare, come sommatoria, migliaia di chiusure di sportelli e decine di migliaia di licenziamenti, nonché, nel caso di Deutsche, altre misure, in particolare nel settore della finanza strutturata, certamente incisive ma non pubblicizzate all'esterno, mentre entrambe le banche hanno deciso di uscire dall'euribor e questo è un passo di cui vanno comprese fino in fondo le motivazioni, cosa impossibile allo stato attuale delle informazioni.
Ora, qual'è il problema che potrebbe trasformare la crisi di Deutsche, quella di Commerz aggiungerebbe più un dato quantitativo che qualitativo, in una crisi sistemica non solo tedesca o europea, ma addirittura globale? Detto in estrema sintesi risiede proprio nel mistero che avvolge una montagna di derivati assolutamente sproporzionata alle pur ragguardevolissime dimensioni del colosso creditizio basato a Francoforte, si tratta di un entità decine di volte multipla del totale attivo della banca, il che fa escludere a priori che siano prevalentemente di hedging, cioè di copertura di rischi vari (tasso, cambio e via discorrendo), facendo quindi pensare che siano di tipo speculativo, come se la banca tedesca avesse preso a modello Goldman Sachs, una banca globale che scommette su tutto quello sui cui è possibile farlo e con il piccolo particolare che fa da sempre solo quello e che non risulta abbia mai particolarmente sofferto per repentini mutamenti sui mercati non fosse altro che perché normalmente è lei stessa a provocarli.
Un mistero ancora maggiore circonda quelli che volgarmente vengono definiti titoli tossici o titoli di categoria 3, quelli cioè a maggiore pericolosità e sostanzialmente illiquidi, un'informazione che nei dettagli non è stata fornita né alla Bundesbank, fino al giugno del 2014 incaricata della sorveglianza su questa come su tutte le altre banche tedesche, né a quel ministro delle finanze, Wolfgang Schauble, che è qualche tempo che non recita più come soleva fare fino a poco tempo fa il mantra Deutsche è solida, spesso condito da un "come il granito" e, quindi, prima che un problema di bilanci o di redditività si sta spargendo tra le controparti un altro ritornello che dice più o meno così: se né la BCE né il Governo tedesco, né tantomeno la Bundesbank ne sanno realmente qualcosa, perché dovremmo fidarci noi?
Fa un po' sensazione un articolo di una sezione specializzata del Wall Street Journal che sostiene che una nuova e grave crisi può venire proprio dalla Germania a causa della situazione in cui versano le banche tedesche, in particolare Deutsche Bank, e l'estensore dell'articolo invita caldamente il Governo tedesco a correre in fretta ai ripari fornendo gli aiuti pubblici necessari alle banche tedesche in maggiori difficoltà, avviando al contempo contatti con il Dipartimento di Giustizia statunitense al fine di ridurre l'entità della multa da 14 miliardi di dollari comminata di recente a Deutsche, anche se tra le righe si coglie il suggerimento di ottenere una sorta di condono tombale per la banca basata a Francoforte da parte delle autorità federali!
Ma fa ancora più sensazione che ieri, nella prima allocuzione dopo quattro anni di fronte ad un Bundestang animato da sentimenti non proprio amichevoli, Mario Draghi, dopo aver ricordato ai tedeschi che il tanto vituperato in quel paese Quantitative Easing ha permesso alla Germania di risparmiare 28 miliardi di euro solo l'anno scorso sugli interessi sul debito statale (un meccanismo che ora rischia di incepparsi, per la scarsità di Bund disponibili per gli acquisti della BCE), soldi che ha invitato ad investire sulla crescita piuttosto che a riduzione secca del deficit, ha poi affermato che non è certo la politica dei tassi a zero che ha prodotto la crisi di Deutsche Bank, perché, ha aggiunto, se una banca diviene possibile causa di una crisi sistemica deve avere ben altri problemi al suo interno e nel dirlo gli è scappato un sorrisetto.
Ricordo che da neo Governatore della Banca d'Italia, Mario Draghi fu investito in piena tempesta perfetta del compito di guidare un organismo chiamato a riscrivere le regole del gioco della finanza internazionale e che è in quella veste che tenne una riunione a porte chiuse a New York, cui furono invitati tutti i vertici delle banche globali e delle allora Investment Banks, un incontro nel quale era affiancato dal ministro del Tesoro USA dell'epoca, Henry Paulson già presidente e CEO di Goldman Sache e, quindi, ex datore di lavoro dello stesso Draghi quando questi aveva un ruolo di rilievo nella divisione europea di Goldman con base a Londra, e in quell'occasione Draghi conquistò sul campo l'appellativo di Super Mario, perché i cronisti che ebbero modo di vedere all'uscita i banchieri più importanti del pianeta, almeno quelli che non riusciti ad uscire da porte laterali, lessero sui loro volti che la riunione tutto era stata meno che una passeggiata di salute e che un esperto delle diavolerie escogitate dagli apprendisti stregoni delle divisioni di Corporate & Investment Banking come lui è aveva detto loro in buona sostanza e in modo molto circostanziato che la festa era davvero finita.
D'altra parte, dall'intervista a uno dei bracci destri del capo della Vigilanza europea, abbiamo capito che un'analisi molto sommaria e sulla base dei dati disponibili del mare magnum di derivati e titoli tossici in pancia a Deutsche è stata fatta e che, come d'obbligo, ne sono stati messi al corrente il presidente e i consiglieri della BCE, e, quindi, quando Draghi ieri parla ai giornalisti e dice che il problema della banca tedesca nasce da qualcosa altro che gli effetti della sua politica monetaria e che quel qualcosa può essere alla base di una crisi sistemica, ebbene state sicuri che sa bene di cosa sta parlando, così come lo sanno ovviamente i vertici della banca da lui guidata, Weidmann incluso, e il Governo tedesco, quantomeno il potentissimo ministro delle finanze!
Ora, qual'è il problema che potrebbe trasformare la crisi di Deutsche, quella di Commerz aggiungerebbe più un dato quantitativo che qualitativo, in una crisi sistemica non solo tedesca o europea, ma addirittura globale? Detto in estrema sintesi risiede proprio nel mistero che avvolge una montagna di derivati assolutamente sproporzionata alle pur ragguardevolissime dimensioni del colosso creditizio basato a Francoforte, si tratta di un entità decine di volte multipla del totale attivo della banca, il che fa escludere a priori che siano prevalentemente di hedging, cioè di copertura di rischi vari (tasso, cambio e via discorrendo), facendo quindi pensare che siano di tipo speculativo, come se la banca tedesca avesse preso a modello Goldman Sachs, una banca globale che scommette su tutto quello sui cui è possibile farlo e con il piccolo particolare che fa da sempre solo quello e che non risulta abbia mai particolarmente sofferto per repentini mutamenti sui mercati non fosse altro che perché normalmente è lei stessa a provocarli.
Un mistero ancora maggiore circonda quelli che volgarmente vengono definiti titoli tossici o titoli di categoria 3, quelli cioè a maggiore pericolosità e sostanzialmente illiquidi, un'informazione che nei dettagli non è stata fornita né alla Bundesbank, fino al giugno del 2014 incaricata della sorveglianza su questa come su tutte le altre banche tedesche, né a quel ministro delle finanze, Wolfgang Schauble, che è qualche tempo che non recita più come soleva fare fino a poco tempo fa il mantra Deutsche è solida, spesso condito da un "come il granito" e, quindi, prima che un problema di bilanci o di redditività si sta spargendo tra le controparti un altro ritornello che dice più o meno così: se né la BCE né il Governo tedesco, né tantomeno la Bundesbank ne sanno realmente qualcosa, perché dovremmo fidarci noi?
Fa un po' sensazione un articolo di una sezione specializzata del Wall Street Journal che sostiene che una nuova e grave crisi può venire proprio dalla Germania a causa della situazione in cui versano le banche tedesche, in particolare Deutsche Bank, e l'estensore dell'articolo invita caldamente il Governo tedesco a correre in fretta ai ripari fornendo gli aiuti pubblici necessari alle banche tedesche in maggiori difficoltà, avviando al contempo contatti con il Dipartimento di Giustizia statunitense al fine di ridurre l'entità della multa da 14 miliardi di dollari comminata di recente a Deutsche, anche se tra le righe si coglie il suggerimento di ottenere una sorta di condono tombale per la banca basata a Francoforte da parte delle autorità federali!
Ma fa ancora più sensazione che ieri, nella prima allocuzione dopo quattro anni di fronte ad un Bundestang animato da sentimenti non proprio amichevoli, Mario Draghi, dopo aver ricordato ai tedeschi che il tanto vituperato in quel paese Quantitative Easing ha permesso alla Germania di risparmiare 28 miliardi di euro solo l'anno scorso sugli interessi sul debito statale (un meccanismo che ora rischia di incepparsi, per la scarsità di Bund disponibili per gli acquisti della BCE), soldi che ha invitato ad investire sulla crescita piuttosto che a riduzione secca del deficit, ha poi affermato che non è certo la politica dei tassi a zero che ha prodotto la crisi di Deutsche Bank, perché, ha aggiunto, se una banca diviene possibile causa di una crisi sistemica deve avere ben altri problemi al suo interno e nel dirlo gli è scappato un sorrisetto.
Ricordo che da neo Governatore della Banca d'Italia, Mario Draghi fu investito in piena tempesta perfetta del compito di guidare un organismo chiamato a riscrivere le regole del gioco della finanza internazionale e che è in quella veste che tenne una riunione a porte chiuse a New York, cui furono invitati tutti i vertici delle banche globali e delle allora Investment Banks, un incontro nel quale era affiancato dal ministro del Tesoro USA dell'epoca, Henry Paulson già presidente e CEO di Goldman Sache e, quindi, ex datore di lavoro dello stesso Draghi quando questi aveva un ruolo di rilievo nella divisione europea di Goldman con base a Londra, e in quell'occasione Draghi conquistò sul campo l'appellativo di Super Mario, perché i cronisti che ebbero modo di vedere all'uscita i banchieri più importanti del pianeta, almeno quelli che non riusciti ad uscire da porte laterali, lessero sui loro volti che la riunione tutto era stata meno che una passeggiata di salute e che un esperto delle diavolerie escogitate dagli apprendisti stregoni delle divisioni di Corporate & Investment Banking come lui è aveva detto loro in buona sostanza e in modo molto circostanziato che la festa era davvero finita.
D'altra parte, dall'intervista a uno dei bracci destri del capo della Vigilanza europea, abbiamo capito che un'analisi molto sommaria e sulla base dei dati disponibili del mare magnum di derivati e titoli tossici in pancia a Deutsche è stata fatta e che, come d'obbligo, ne sono stati messi al corrente il presidente e i consiglieri della BCE, e, quindi, quando Draghi ieri parla ai giornalisti e dice che il problema della banca tedesca nasce da qualcosa altro che gli effetti della sua politica monetaria e che quel qualcosa può essere alla base di una crisi sistemica, ebbene state sicuri che sa bene di cosa sta parlando, così come lo sanno ovviamente i vertici della banca da lui guidata, Weidmann incluso, e il Governo tedesco, quantomeno il potentissimo ministro delle finanze!
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