giovedì 22 settembre 2016

Quello che le banche centrali proprio non possono fare


Ieri, a mercati rigorosamente chiusi, la Federal Reserve ha emesso il comunicato ufficiale al termine di due giorni di lavori del Federal Open Market Committee,  l'organismo di vertice della banca centrale statunitense presieduto da Janet Yellen, una nota che, oltre al per me scontatissimo, mantenimento dei tassi allo 0,25-0,50 per cento, rivede al ribasso le stime della crescita stelle e strisce, portandole seppur di poco, al di sotto del due per cento e non esprime particolari preoccupazioni sulla dinamica dei prezzi al consumo e all'ingrosso, insomma valuta la situazione dell'economia e dell'occupazione statunitensi lontane da quella situazione di surriscaldamento che giustificherebbe una politica monetaria restrittiva.

In diverse puntate del Diario della crisi finanziaria, una delle quali molto recente e scritta quando i Fedwatchers davano per quasi certo il secondo aumento dei tassi dopo quello deciso nell'ormai lontano dicembre del 2015, scommettevo non solo sul fatto che ciò non sarebbe avvenuto, ma anche che molto, ma molto difficilmente un inasprimento dei tassi allo 0,50-0,75  per cento sarebbe stato deciso in questo anno di disgrazia 2016 che vede un oggettivo rallentamento della crescita dell'economia e dell'occupazione USA, segni alquanto evidenti di possibile scoppio della bolla speculativa sull'azionario a stelle e strisce, uno stop del notevole recupero intervenuto negli scorsi anni nel settore immobiliare, sia dal punto di vista delle vendite che dei relativi prezzi, un prezzo del petrolio che, al netto di un sempre possibile accordo tra i paesi OPEC e i produttori di petrolio estranei a questa importante associazione nell'incontro previsto a breve, non riesce neppure a recuperare la soglia psicologica dei 50 dollari al barile, sia con riferimento al mercato del Brent che a quello del WTI.

Mentre le borse statunitensi festeggiavano e i debitori delle banche con prestiti e mutui a tasso variabile tiravano un più che comprensibile sospiro  di sollievo, è intervenuto a gamba tesa sulla decisione della Fed Donald Trump, definendola senza mezzi termini una decisione politica volta a favorire il presidente in carica, Barack Obama, e la sua principale sfidante nella tornata elettorale, Hillary Clinton, un intervento inusuale da parte di un candidato alla Casa Bianca e che ha provocato un'altrettanto inusuale risposta della Yellen che ha ovviamente rivendicato l'autonomia dell'istituzione da lei presieduta dalla politica e ribadendo che le scelte della Fed guardano solamente ai dati dell'economia e dell'occupazione.

D'altra parte, per un candidato come Trump che ha puntato tutto non sui progetti e sulle idee, ma bensì sulla paura, una bella crisi finanziaria a ottobre sarebbe una manna dal cielo e riaprirebbe le ferite della prima e della seconda ondata della Tempesta Perfetta, con il ricordo delle perdite nel settore immobile e in quello finanziario, per non parlare del vero e proprio assurdo del livello record del prezzo del petrolio a 147 dollari al barile mentre la domanda globale di greggio sprofondava per la crisi, come certificato dalla discesa a precipizio a livelli anche inferiori ai 40 dollari che si verificò pochissimi mesi dopo.

Ma la giornata si era aperta con la decisione della Bank of Japan che aveva mantenuto i tassi al livello precedente, compreso lo 0,1 per cento negativo, concentrandosi su una gestione della curva dei rendimenti volta a mantenere lo yield del decennale giapponese a zero, ma già vi era stata la decisione della Banca Centrale Europea di mantenere i tassi ai livelli irrisori stabiliti ormai tanto tempo fa e confermando l'intenzione di operare cambiamenti quantitativi, ma soprattutto qualitativi, e di scadenza temporale sul Quantitative Easing , decisioni che hanno fatto letteralmente infuriare la Germania e i suoi più stretti alleati che hanno lasciato briglia sciolta a Jens Weidmann, vedi puntata di ieri, il loro uomo di punta nel Consiglio della Banca Centrale Europea, con il divertente corollario che, quando deve attaccare il suo acerrimo nemico, Mario Draghi, se la prende con il nostro Paese, della serie dì a nuora perché suocera intenda!

Per la Bank of England sarebbe necessario un discorso a parte perché, dopo la recente decisione che ha portato i tassi a livello della parte bassa della forchetta statunitense e incrementato il QE britannico, si mantiene nella manica l'ulteriore ribasso dello 0,25 per cento ove, come è largamente prevedibile, la situazione dell'economia del suo Paese dovesse appesantirsi oltre modo.

Nessun commento: