Quando ho letto la notizia relativa alla richiesta delle autorità federali statunitensi che, nell'ambito di una vertenza legale, chiedono al colosso creditizio dai piedi di argilla Deutsche Bank 14 miliardi di dollari per chiudere la vicenda del suo ruolo molto attivo in quella che fu una vera e propria tragedia e che innescò la tempesta perfetta nel 2007, quella dei mutui subprime, o meglio, del loro impacchettamento in titoli della finanza strutturata che, grazie alle alchimie degli apprendisti stregoni delle fabbriche prodotto delle divisioni di Corporate & Investment Banking delle banche più o meno globali operanti negli Stati Uniti d'America, ottennero dalle più importanti società di rating del pianeta quella tripla A che consentì a questi titoli di essere acquistati a mani basse dai fondi pensione, dalle compagnie di assicurazione e da altri investitori istituzionali tranquilli sia per l'altissimo rating, ma anche per la clausola di riacquisto che i venditori degli stessi allegramente inserivano nei contratti sottoscritti.
Questa notizia mi fa dunque tornare indietro nel tempo di nove anni e ricordo perfettamente quell'estate del 2007 che si aprì con il default di due o tre entità finanziarie statunitensi per motivi di liquidità di cui nessuno allora capiva i motivi, ma che accesero un campanello d'allarme nella mia mente e in quella di un piccolo numero di economisti e di analisti che avevano compreso che si era di fronte ad una spirale perversa tra calo vistoso dei prezzi delle case e conseguente difficoltà dei mutuatari, spesso titolari di un primo e di un secondo mutuo sulla stessa abitazione, a far fronte alle rate che, spesso, come nel caso dei subprime (che poi significa mutui concessi a cliente al di sotto degli standard di affidabilità creditizia), dopo un periodo di grazia solitamente pari ai primi cinque anni, schizzavano verso l'alto in base alle previsioni del mutuo stesso che l'aspirante proprietario di casa spesso nemmeno leggeva convinto che, dopo il periodo di grazia, sarebbe avvenuta una rinegoziazione delle condizioni capestro!
Ma la più grave crisi finanziaria dalla fine del secondo conflitto mondiale sarebbe stata anche disinnescata se i massimi vertici dell'economia e della politica non fossero stati il presidente degli Stati Uniti d'America, quel George W. Bush coinvolto nello scandalo delle Saving and Loans qualche anno prima in buona parte per ragioni legate ai mutui erogati con estrema leggerezza, il ministro del Tesoro, quell'Hank Paulson che da numero uno di Goldman Sachs sapeva benissimo che quei titoli comprendevano in minima parte i mutui ma erano infarciti di altra roba, sempre inventata dalle fabbriche prodotto, titoli che sarebbero venuti giù tutti insieme in presenza di una certa percentuale di default della componente mutui, facendo scattare le clausole di riacquisto a carico dei venditori degli stessi titoli con conseguente default di chi li aveva venduti, e il presidente della Federal Reserve, quel Benjamin Bernanke, in arte Bernspan per l'influenza esercitata su di lui dal suo predecessore Alan Greenspan, uno studioso di storia dell'economia e specializzato nelle crisi finanziarie, uno studioso abituato a conversare con i suoi amati studenti percorrendo gli stessi vialetti che era uso calcare Albert Einstein.
Ebbene questi tre personaggi avrebbero potuto disinnescare la bomba se non fosse intervenuto a stretto giro di posta il blocco totale della liquidità al di qua e al di là dell'Oceano Atlantico, blocco intervenuto il 4 agosto del 2007 e richiese altre banche centrali direttamente coinvolte, BCE, Federal Reserve e BoE, interventi per svariate centinaia di miliardi ma che non risolvere la diffidenza reciproca delle banche, non sapendo ognuna quanto fosse intasata di titoli più o meno tossici l'altra, una situazione che, in modo più o meno evidente permane tuttora e costringe le banche centrali a fare da "stanza di compensazione" delle banche da loro sorvegliate.
Ovviamente, quando le cose iniziarono a peggiorare, scomparve un'intera categoria di entità finanziarie, quelle specializzate proprio nell'erogazione dei mutui, subprime e normali, che non potevano assolutamente reggere alle richieste di riacquisto dei mutui erogati e ceduti a banche di varia dimensione, soprattutto quando la caduta del valore degli immobili iniziò a diventare rovinosa e rischiò, cosa che in pochi casi si realizzò, di portare al fallimento delle stesse banche che avevano acquistato quei mutui, con il risultato che iniziarono allora a catena le procedure di foreclosure che a loro volta spinsero ancora più giù i prezzi delle case e la crisi iniziò a toccare fortemente anche quei ceti medio alti che, con il secondo mutuo, aveva trasformato le loro case in un bancomat per pagare gli studi dei figli, le rette del club, la nuova automobile e quant'altro.
Il resto è storia, con il crollo del mercato immobiliare e milioni di americani espropriati delle loro case, milioni di disoccupati aggiuntivi, la nazionalizzazione di Fannie Mae e Fannie Mac, il fallimento di centinaia di banche e, the last but not the least, il non proprio inevitabile fallimento di Lehman Brothers, ma anche la trasformazione in banche ordinarie delle Big Four, Big Five quando Lehman era ancora in vita, la alquanto forzata acquisizione di Merrill Lynch da parte di una molto riluttante e di per sé pencolante Bank of America. Lo studio di queste vicende, in particolare del caso Lehman, getta un ombra sul ruolo dirompente che sta giocando nella vicenda dell'aumento di capitale e dell'azzeramento delle sofferenze del Monte dei Paschi di Siena proprio la J.P. Morgan Chase di Jamie Dixon, l'unico dei banchieri della prima fase della Tempesta Perfetta riuscito a non annegare negli alti, a volte altissimi, marosi della stessa.
A quanto si sa, Deutsche Bank rifiuta di pagare questi 14 miliardi di dollari, 12,5 miliardi di euro al cambio attuale, e inizia così una trattativa tra i suoi agguerriti legali americani e il Governo statunitense, trattative che porteranno probabilmente ad una cifra inferiore, ma pesa ancora la richiesta fatta ad un giudice federale di nominare una personalità indipendente incaricata di valutare cosa è nascosto nei capaci forzieri delle sue due enormi divisioni di Corporate & Investment Banking, con il piccolo corollario della stranezza di avere non una ma ben due CIB!
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