Ieri Hank Paulson ha davvero dato il meglio di sé testimoniando di fronte alla Commissione Bancaria del Senato degli Stati Uniti d’America, a fianco di un silente ed alquanto imbarazzato Bernspan, compiendo il capolavoro di distruggere quel velo di finzione che separa le sue attuali e molto temporanee attribuzioni di civil servant ed il suo lunghissimo passato al vertice della potente ed ancor più preveggente Goldman Sachs, l’ex Investment Bank che, per evitare l’onta del fallimento, si è dovuta piegare al diktat della Federal Reserve e diventare una banca commerciale, una “scelta” che ha peraltro condiviso con Morgan Stanley che, insieme a Goldman, è l’unica Investment Bank sopravvissuta alla tempesta perfetta.
Dopo essere stato costretto a digerire il gigantesco rospo della brownizzazione del suo iniziale piano di salvataggio del sistema bancario statunitense, basato sull’acquisto a prezzi del tutto fuori mercato di parte della montagna di titoli tossici che attualmente ingolfano i bilanci delle banche di ogni ordine e grado, ha dirottato la prima tranche delle risorse accordategli dal Congresso, 250 miliardi di dollari, nell’acquisto di azioni delle 30 principali banche statunitensi (125 dei quali alla sua ex (?) banca ed altre big del settore, 25 miliardi ciascuna a Citigroup e Bank of America), ma quando gli è stato chiesto di utilizzare parte del “bottino” per salvare le tre big del settore automobilistico dal fallimento e di spendere altri 25 miliardi per favorire la rinegoziazione dei mutui, come proposto dalla brava presidentessa della Federal Insurance Deposit Corporation, Hank è tornato quello di un tempo ed ha di fatto detto che dovranno passare sul suo cadavere prima di scippargli le risorse che servono esclusivamente a riparare le malefatte dei suoi ex (?) colleghi.
Il bello è che Paulson ha ottenuto dal Congresso una sorta di manleva molto simile a quella che, secondo Alexandre Dumas padre, sarebbe stata consegnata dal cardinale Richelieu alla bella Milady, un salvacondotto che lo rende penalmente irresponsabile di quanto farà fino a che non verrà sollevato di forza dal suo incarico dal nuovo presidente eletto Barack Obama, che, tanto per non sbagliare, farebbe bene a rispedire l’attuale numero uno della Fed agli amati studi sulle crisi finanziarie (sic), consentendogli di ricalcare quegli stessi fioriti vialetti della prestigiosa Università di Princeton a suo tempo percorsi da Albert Einstein, ‘o tempora, o mores’.
Pur ritenendo tutti i nomi indicati come possibili successori di Hank di ottimo livello, mi permetto di avanzare un piccolo suggerimento, ben consapevole che il giovane presidente non avrà mai modo di venirne a conoscenza, e che consiste nell’opportunità di nominare proprio quel Paul Volker che fu costretto a lasciare la Fed per la sua opposizione alla reaganomics, quel mix davvero micidiale di deregolamentazione, finanziarizzazione e globalizzazione alla carlona che ci ha portati dritti, dritti al meltdown della finanza e dell’economia reale nel quale ci troviamo adesso!
Nel frattempo i mercati fanno quello che possono e continuano a scommettere sulle nazionalizzazioni prossime venture di banche e compagnie di assicurazione, al di quà ed al di là del sempre più stretto Oceano Atlantico, spedendo letteralmente agli inferi le quotazioni delle azioni dei big del settore, con la tanto amata da Hank Goldman Sachs che si trova oramai a quotare un quarto di quanto valeva tredici mesi orsono ed il colosso Citigroup abbondantemente al di sotto dei 10 dollari, per non parlare delle due maggiori monoliner, MBIA ed Ambac, per le quali le agenzie di rating non trovano più ulteriori spazi di downgrade.
Come ricordavo ieri, il discorso riguarda anche, e forse in misura ancora maggiore, le banche dei quattro principali paesi dell’unione Europea, che si apprestano a vivere il più rapido e violento processo di concentrazione mai vissuto, con l’obiettivo neanche troppo nascosto dei rispettivi governi di ridurre al minimo il numero dei colossi anche per fare economie di scala sugli indispensabili aiuti, una prospettiva inimmaginabile soltanto un anno e mezzo fa e che sta gettando lo scompiglio nei quartier generali delle banche che non sono state prescelte come aggreganti da Brown, Sarkozy o dalla bellicosa cancelliera Angela Merkel.
Come sempre accade, il mercato tende a punire più le entità che dovranno caricarsi del fardello delle altre che di quelle destinate a scomparire e, pertanto, i movimenti azionari dei giorni scorsi sono alquanto self explaining e non necessitano di ulteriori approfondimenti, cosa peraltro ben nota ai banchieri esclusi dagli abboccamenti governativi più o meno riservati in corso oramai da alcune settimane, in alcuni casi da mesi.
Noto con piacere che l’interpretazione da me data a caso del “fallimento” del recente summit del G20/G21 inizia a trovare proseliti tra i commentatori, che iniziano a dire apertamente che dietro quel lunghissimo rinvio di ogni decisione alle calende greche si cela la tanto richiesta mano libera dei governi più o meno pronti a dare il via a quel vero e proprio regolamento di conti da tempo minacciato.
E’ in questo quadro che è maggiormente comprensibile l’indiscrezione fatta filtrare attraverso il quotidiano MF in edicola stamane e che vorrebbe inserita nel decreto legge proposto dal per la terza volta ministro dell’Economia Giulio Tremonti, l’innalzamento dell’asticella del core TIER 1 al proibitivo livello dell’otto per cento, dall’attuale già problematico sei per cento, un qualcosa che richiede aumenti di capitale o prestiti subordinati di speciale natura per decine di miliardi di euro solo fermandosi ai primi cinque gruppi bancari del Belpaese, una misura che mette i principali banchieri italiani letteralmente nelle mani di un ministro che non ha tralasciato occasione per dire quello che pensa delle vere cause della tempesta perfetta in corso, ma che, soprattutto, sembra avere un’idea molto chiara sulle responsabilità personali!
Ricordo che il video del mio intervento al convegno della UIL sulla crisi finanziaria è presente nella sezione video del sito dell’associazione Free Lance International Press all’indirizzo http://www.flipnews.org/ mentre gli atti del convegno sono esportabili dal sito http://www.uil.it/ nella sezione del dipartimento di politica economica.