martedì 25 novembre 2008

Le borse mondiali accolgono con euforia le prime mosse del nuovo ministro del Tesoro e salutano, senza rimpianti, il vecchio Hank Paulson!


Le modalità mediante le quali è stata ‘salvata’ Citigroup devono fare riflettere su quanto sia già avanzato il processo di transizione tra l’amministrazione Bush Jr. e quella che va, giorno dopo giorno, indicando il presidente eletto Barack Obama acui sulla carta mancherebbero due mesi e mezzo alla cerimonia ufficiale dell’insediamento, costituzionalmente prevista per il 20 gennaio prossimo.

Dei due uomini e le due donne che il presidente eletto ha presentato ieri alla stampa ed all’opinione pubblica, infatti, ve ne è uno, Timothy Geithner, che è già operativo da sedici mesi e mezzo nella battaglia alquanto impari che i governi dei paesi maggiormente industrializzati e le relative autorità monetarie stanno combattendo contro i sempre più alti marosi della tempesta perfetta e questo non solo perché occupa la poltrona più importante dopo quella dell’ineffabile Bernspan al vertice della Federal Reserve, quella di numero uno della Fed di New York, quella che ha rapporti diretti con la maggior parte delle banche statunitensi o straniere operanti nella grande mela, ma anche membro permanente del Federal Open Market Committee, nonché gestore della più ampia discarica a cielo aperto che lavorato, negli ultimi mesi, tonnellate di titoli più o meno tossici della finanza strutturata per un controvalore facciale non inferiore ai mille miliardi di dollari.

Ebbene, come ricorda efficacemente nel suo blog Federico Rampini, Geithner non è solo un coetaneo di Obama e come lui caratterizzato da un’esperienza ed una visione molto cosmopolite, ma è anche l’unico tra lo stuolo di consiglieri clintoniano-obiamiani anon avere mai lavorato per una banca d’investimenti o per una banca commerciale, o per uno di quei conglomerati ibridi, come Citi appunto, nati grazie all’abolizione dello Glass-Steagall Act scelleratamente voluta proprio da un suo concorrente alla guida del Tesoro, quel Robert Rubin che ha veramente giocato molte, ma molte parti in commedia, prima al vertice della molto potente ed ancor più preveggente Goldman Sachs, poi al dicastero del Tesoro, ricevendo poi in premio la carica di presidente dell’entità risultante dalla fusione di Citicorp, Travellers e banche di investimento di varia dimensione favorita proprio dal suo provvedimento deregolamentatorio.

Non sono particolarmente appassionato alla questione dei compensi stellari dallo stesso Rubin ricevuti in questi anni e, purtroppo, anche in questi drammatici mesi, anche perché, dal punto di vista rovesciato di Big Finance, se li era veramente guadagnati, consentendo di creare quel mostro a due se no a tre teste, che, al pari dei suoi maggiori competitors, ci ha portati nell’attuale situazione che, come appare sempre più chiaro anche agli sprovveduti, è davvero di difficile soluzione.

Sempre da Rampini apprendo un particolare che mi era francamente sfuggito della biografia del ministro del Tesoro USA prossimo venturo, un episodio legato alla cosiddetta crisi asiatica della fine degli anni Novanta, che, grazie anche alla determinazione dell’allora trentaseienne dirigente del Tesoro, prese la direzione del famoso fondo di salvataggio da 100 miliardi di dollari stanziato dagli Stati Uniti d’America per impedire il meltdown di quelle che allora venivano giustamente appellate ‘Tigri asiatiche’, un piano che assomiglia maledettamente alla versione browniana dell’iniziale piano in tre paginette destinato a salvare le maggiori banche statunitensi e mandare a piccolo quelle più piccole!

Il piccolo Tim ha, quindi, già preso il posto del navigatissimo Hank Paulson e ha, almeno di fatto, commissariato il povero Bernspan, che certamente non vede l’ora di ripercorrere i verdi vialetti della prestigiosa Università di Princeton, per tornare ad occuparsi dello studio accademico delle crisi finanziarie, inclusa quella tempesta perfetta che lo ha quasi mandato ai matti.

Peraltro, citando apertamente il mio mito John Maynard Keynes e prendendo in anticipo il piglio roosveltiano, Obama si è già mosso ieri da presidente in carica, chiarendo che se ne strimpipa dello stato prossimo venturo delle già disastrate finanze pubbliche a stelle e strisce, anche perché ha ben chiaro in mente che, non facendo subito qualcosa anche a costo di infrangere il galateo istituzionale, degli Stati Uniti d’America non rimarebbero che le strisce, ricordando, in piena conferenza stampa, una delle frasi più famose dell’economista di Cambridge, quella relativa al fatto che l’inazione di oggi legata ai timori degli equilibri di bilancio ha poco senso, in quanto “nel lungo periodo saremo tutti morti”!

Mi soffermerò nelle prossime puntate sulle due donne chiamate da Obama nel gruppo che dovrà occuparsi dell’economia e della finanza, mentre non ho intenzione di spendere nemmeno una parola per quel Larry Summers, che, al pari del suo ex collega Rubin, sarà solo a capo dei consiglieri economici, non essendo, per fortuna degli americani e di noi tutti, candidato a prendere il posto che sarà presto lasciato da Bernspan, anche se si sarebbe trattato di un contrappasso degno di Dante Alighieri, bello a vedersi, ma del tutto inadatto ad una situazione che più che i tratti della commedia, per quanto divina, presenta quelli della tragedia.

Se si osserva in controluce il piano di salvataggio di Citigroup, si individuano le linee guida dell’approccio di Geithner nella gestione della tempesta perfetta in corso, in quanto alla garanzia statale non del tutto gratuita sui 306 miliardi di titoli tossici (attenti alle cifre, perché si tratta di una accurata scelta nel più ampio parco di titoli tossici del colosso creditizio multinazionale) ed ai provvidenziali ulteriori 20 miliardi di capitale ordinario si accompagnano misure di rinegoziazione dei mutui che ho già descritto nella puntata precedente e che rappresentano un approccio molto pragmatico ma caratterizzato da un alto grado di efficacia nel disinnescare almeno una delle micidiali cause dell’effetto domino platealmente in corso, il che dimostra che, una volta tanto, l’euforia delle borse mondiali è alquanto giustificato!

Ricordo che il video del mio intervento al convegno della UIL sulla crisi finanziaria è presente nella sezione video del sito dell’associazione Free Lance International Press all’indirizzo http://www.flipnews.org/ mentre gli atti del convegno sono esportabili dal sito http://www.uil.it/ nella sezione del dipartimento di politica economica.