giovedì 27 novembre 2008

Quello che manca realmente all'Europa è un vero governo comune!


Il mercato continua a scommettere da ben quattro giorni sull’efficacia delle nuove mosse che vengono, a torto o a ragione, attribuite all’attuale presidente della Federal Reserve di New York, Timothy Geithner, che già si muove come se fosse lui il ministro del Tesoro in carica enon l’ex (?) investment banker, Hank Paulson, che, pure, assieme al defenestrando Bernspan continua ad apporre la sua firma ai provvedimenti che vengono oramai assunti ad un ritmo quasi quotidiano.

Come dicevo nella puntata di ieri, la vera novità contenuta nella decisione di stanziare ulteriori 800 miliardi di dollari per acquistare titoli della finanza strutturata collateralizzati da varie forme di debito, mutui, prestiti per l’acquisto dell’auto, prestiti a studenti e via discorrendo, nonché mutui veri e propri sta nel fatto che, oltre a riguardare in massima parte operazioni originate dalle nazionalizzate Fannie Mae e Freddie Mac, consente di disinnescare il micidiale meccanismo che trasforma l’evaporazione dei titoli della finanza strutturata in quella sorta di paralisi progressiva che sta sempre più paralizzando le banche di ogni ordine e rango, rendendo inefficaci le misure prese dai governi e dalle autorità monetarie, un rischio più che concreto che viene in buona misura sventato rendendo possibile quelle forme di rinegoziazione del servizio del debito che rappresentano l’unica possibilità di salvezza per quanti si trovano oggi nell’alquanto scomoda posizione di debitori per importi che in non pochi casi superano il reddito effettivo mensile.

Questa speranza in un nuovo e più efficace approccio ai problemi evidenziati dalla tempesta perfetta in corso da sedici mesi e mezzo, è stata rafforzata ieri dalla nomina dell’ex presidente della Federal Reserve, Paul Volker, quale responsabile della unità anticrisi fortemente voluta dal presidente eletto Barack Obama, nonché dall’annuncio della decisione delle autorità federali di dare l’esempio, portando alla simbolica cifra di un dollaro la retribuzione del numero uno esecutivo di una entità creditizia appena salvata grazie ai soldi dei contribuenti.

Ed è sempre questa speranza, speriamo fondata, che sta consentendo di leggere il quartetto di dati micidiali diffusi ieri da vari organismi pubblici e privati che danno un quadro alquanto catastrofico della situazione economica attuale in quella che ancora rimane la nazione più potente ed armata del pianeta, in quanto mai come adesso i dati statistici forniscono una rappresentazione della realtà che è precedente alle novità politiche ed ai provvedimenti adottati in questi ultimi giorni, una situazione che si determina spesso quando gli operatori, gli analisti e gli investitori/risparmiatori iniziano a scommettere sul futuro, piuttosto che soffermarsi a guardare le pur evidenti crepe della situazione economica precedente.

E’ da diverse puntate, peraltro, che invito i miei pochi ma affezionati lettori a riflettere sulle caratteristiche intrinseche degli Stati Uniti d’America, una nazione che continua ad essere caratterizzata da un modello economico e sociale che non piace molto a noi europei, e tantomeno a noi italiani, ma che ha l’evidentissimo pregio di essere dotato di un estremo grado di elasticità che costituisce un vantaggio differenziale evidente per ripartire da una situazione come quella attuale, purché, come sembra stia iniziando ad accadere, si abbia il coraggio di individuare le cause e non gli effetti della crisi finanziaria e si decida, costi quel che costi, di cercare di porvi rimedio.

E’ questo che spiega la diversa reazione che sta caratterizzando i mercati posti al di qua ed al di là dell’Oceano Atlantico, mentre già più simile a quella degli USA è la reazione che possiamo registrare in quell’area asiatica che, pur nelle notevolissime differenze, assomiglia molto di più al modello americano che a quello in voga nel Vecchio Continente, Gran Bretagna inclusa.

Non devono, infatti, trarre in inganno il decisionismo e l’estremo attivismo che stanno caratterizzando l’operato dei governi britannico, francese e tedesco, né l’enorme quantità di risorse finanziarie pubbliche da questi messi in campo, in quanto Sarkozy e la Merkel, molto meno Gordon Brown, continuano a muoversi nella logica dei vincoli imposto dai trattati e non è un caso che chiedano un ammorbidimento ‘temporaneo’ delle rigide previsione degli stessi, ben consapevoli della scarsa efficacia dei provvedimenti da loro adottati per la semplicissima ragione che ogni decisione europea va declinata in ventisette versioni diverse ed applicata in altrettante realtà governate dai rispettivi esecutivi nazionali, tuttora gelosissimi delle proprie prerogative nazionali anche quando la casa comune brucia!

Ciò non toglie che resta evidente il differenziale di efficacia tra le mosse inglesi in primo luogo, ma anche tra quelle prese da Bonn e Parigi, rispetto al balbettio prevalente nelle altre capitali europee, un’incertezza che riguarda allo stesso modo i paesi stagnanti come l’Italia e le ex tigri dello sviluppo come l’Irlanda e la Spagna, due paesi che si sono trovati ad affrontare una decelerazione drammatica del loro ritmo impetuoso sviluppo, basato sulla finanza ed il dumping fiscale il primo e sul settore edilizio e dello sviluppo delle infrastrutture il secondo.

Come non mi stancherò mai di ripetere, la tempesta perfetta costituisce un’opportunità forse irripetibile per verificare sul campo quel che manca nel progetto di costruzione europea, ben rappresentato da quel deficit di Stato e di Governo comuni ai ventisette paesi che hanno aderito, chi prima chi dopo, all’Unione che continua a presentarsi come una realtà dalle mille facce, al di là della forzatura legata alla realizzazione di una moneta unica per un certo numero dei paesi aderenti, ma non per tutti, una serie di limiti che potrebbero venire spazzati via dall’emergenza economica, ma soprattutto da quella geopolitica, gettando le premesse per realizzare, in tempi non biblici, la realizzazione degli Stati Uniti d’Europa a partire anche da un nocciolo di paesi che ne sentano realmente la necessità e l’indifferibilità!

Ricordo che il video del mio intervento al convegno della UIL sulla crisi finanziaria è presente nella sezione video del sito dell’associazione Free Lance International Press all’indirizzo http://www.flipnews.org/ mentre gli atti del convegno sono esportabili dal sito http://www.uil.it/ nella sezione del dipartimento di politica economica.