Non so proprio cosa sia passato per la mente dei consiglieri della tecnicamente fallita e di fatto nazionalizzata Royal Bank of Scotland quando, con sprezzo del pericolo rappresentato da un’ondata di furore popolare dei poveri contribuenti di Sua Maestà britannica, ha deciso di tirare dritto per la loro strada e mantenere la previsione di bonus per 1,79 miliardi di sterline ai dipendenti medio-alti, una decisione rispetto alla quale è ultranota l’opposizione di Gordon Brown e del suo intero dicastero, aprendo così la strada ad un conflitto con i salvatori che credo proprio terminerà con quella defenestrazione dei top bankers autori del disastro in cui versa la banca che è certamente attesa e data per scontata dai più.
Se questa è la decisione di una banca nella quale lo Stato ha messo entrambe le gambe, figuriamoci cosa accadrà nelle trenta banche statunitensi che hanno appena ricevuto dal Tesoro statunitense un regalo da 250 miliardi di dollari a carico dei contribuenti o quello che potrà verificarsi nelle tante mega banche europee nelle quali i rispettivi governi hanno scelto un intervento molto, ma molto soft, un intervento che lascia al buon cuore ed alla sensibilità dei banchieri qualsiasi iniziativa sulla compensation, mentre, come è noto, in Italia siamo davvero ancora a carissimo amico grazie alle forti resistenze dei banchieri anche nei confronti della versione francese del piano di salvataggio europeo!
Nel frattempo, è stata diffusa un’allarmatissima analisi della Bank of England sullo stato di salute alquanto precario degli oltre settemila hedge funds operanti nel mondo, organismi non soggetti ad alcuna regolamentazione degna di questo nome e che vantano un patrimonio complessivo pari a 1.875 miliardi di dollari, un capitale che fornisce loro un volume di fuoco non inferiore ai 5 mila miliardi di dollari e che sono da mesi sotto un vero e proprio fuoco di fila di riscatti che li stanno costringendo a vendere l’argenteria di famiglia o ad imbarcarsi in avventure come quella della Volkswagen ricavandone non solo perdite multimiliardarie, ma subendo anche una gravissima perdita della loro immagine vincente in questo tipo di contese, battuti dagli esponenti tedeschi della old economy che sono riusciti con grande abilità a bagnare il naso di quelli che non troppo tempo fa vennero autorevolmente definiti i nuovi power brokers.
Come mi capita spesso di ricordare, il maxi sforzo dei governi e delle autorità monetarie di tutto il mondo industrializzato, uno sforzo complessivo cifrabile in almeno 4 mila miliardi di dollari, può sì costruire una prima linea di difesa attorno alle principali banche mondiale, ma non è assolutamente possibile assicurare in qualche modo i rischi sistemici legati all’operatività di soggetti come gli hedge funds, appunto, i carry traders, nonché una platea sterminata di speculatori di ogni ordine e risma che sono riusciti tutti insieme a mettere su un ammontare di nozionale degli strumenti derivati pari alla spaventosa cifra di 600 mila miliardi di dollari e che, in caso di default settoriali, vedrebbero la maggior parte delle banche di maggiori dimensioni, nello scomodo ruolo di controparti, assieme alle maggiori compagnie di assicurazione, come è ben testimoniato dall’improvviso aumento del piè di lista a carico del Tesoro statunitense nel caso della molto più che tecnicamente fallita compagnia di assicurazione AIG, un tempo indiscussa e potentissima regina mondiale delle polizze.
La celebrazione della giornata del risparmio non ha portato a soluzione il problema rappresentato dal conflitto in corso tra Mario Draghi e Giulio Tremonti sulle modalità dell’intervento dello Stato nelle banche italiane, anche se, almeno in apparenza, il collaudatissimo Draghi sembra avere riportato una vittoria indiscussa sulle richieste del per la terza volta ministro italiano dell’Economia, un uomo che, come è universalmente noto, vorrebbe vedere i principali banchieri italiani alla berlina, nonché normalizzare le più evidenti anomalie del sistema bancario italiano, rappresentate dal Monte dei Paschi di Siena e dalla Banca Popolare di Milano, due realtà che fanno letteralmente venire l’orticaria a Tremonti, ma che non può toccare senza il necessario via libera dell’attuale Governatore della Banca d’Italia, che sulla seconda ha messo il cappello grazie ad un’ispezione sulla governance, mentre sulla prima intende lavorare di fino, consapevole del fatto che la Fondazione proprietaria è oramai più o meno vicina alla canna del gas, avendo investite nel gruppo bancario oltre il 90 per cento delle sue grandi ma non certo illimitate risorse.
Al di là dell’apparente conclusione negativa dello scontro con uno dei massimi esponenti della categoria dei topi posti a guardia del formaggio, non fosse che per la sua oramai lunga presidenza del Financial Stability Forum, non sottovaluterei le capacità di recupero di Tremonti rispetto ad un’ipotesi di intervento talmente soft e del tutto subordinato nel capitale delle banche che ha consentito di allungare a dismisura la lista dei pretendenti, incluse l’altera Mediobanca e quell’universo che si autodefinisce “differente” rappresentato dalle banche di credito cooperativo, tutte in fila per acquisire risorse statali che hanno il pregio di “non sporcare” e, soprattutto, di non avere contraccolpi negativi sulla delicatissima governance dei maggiori gruppi bancari.
Non è un caso che, senza proclami, né conferenze stampa, il ministro è riuscito a rinviare il tutto, così come non è del tutto un caso che l’unica affermazione che al proposito i cornisti sono riusciti a strappargli è stata quella che meglio sintetizza il suo pensiero e le sue non troppo recondite intenzioni bellicose: “è necessario prendere un po’ di tempo”, una frase che la dice lunga, anche perché il nostro è convinto che, da ora al G20 previsto a Washington per la metà del mese, possa accadere qualcosa che riporti il boccino nelle sue mani, un’eventualità che sta facendo perdere il sonno a quei banchieri che non hanno accettato certo di buon grado il rinvio del provvedimento da parte del consiglio dei ministri svoltosi venerdì.
Ricordo che il video del mio intervento al convegno della UIL sulla crisi finanziaria è presente nella sezione video del sito dell’associazione Free Lance International Press all’indirizzo http://www.flipnews.org/ mentre gli atti del convegno sono esportabili dal sito http://www.uil.it/ nella sezione del dipartimento di politica economica.