giovedì 13 novembre 2008

Paulson si tiene stretti i soldi, mentre Tremonti minaccia i banchieri italiani: chi sbaglia, fuori o in galera!


Con il solito piglio un po’ arrogante, eredità indelebile dei suoi lunghi anni passati al vertice della potente e molto preveggente Goldman Sachs, Hank Paulson ha finalmente ammesso quanto tutti avevano oramai avuto modo di capire da lunga pezza, e cioè che il suo piano di salvataggio delle banche non è più quello che era compreso nelle sue tre smilze paginette presentate a Bush ed ai leaders del Congresso statunitense, ma che, strada facendo, si era trasformato in una fotocopia del piano Brown che, a sua volta, è stato integralmente ripreso dagli atterriti e tremebondi vertici dei paesi di quell’eurozona della quale, ma non per molto, la sterlina continua ostinatamente, ma non più tanto orgogliosamente, a non fare parte, al pari delle valute di Svezia e Danimarca, due paesi che hanno già provveduto a riaprire i relativi dossier preparatori della richiesta di ammissione all’ombrello valutario europeo.

Ad un solo giorno di distanza dalla riunione dei capi di Stato e di governo del G20/G21, il meltdown dei mercati inizia davvero a prendere le sembianze della sindrome cinese che minacciò di scatenarsi a suo tempo nell’impianto nucleare di Three Miles Island, con gli indici azionari che continuano ad essere in caduta libera in tutto il mondo, ma che negli Stati Uniti d’America, prosegue in modo pressoché ininterrotto dal giorno successivo alla storica elezione di Barack Obama alla più alta carica del paese politicamente e militarmente più potente del pianeta, una strana ed anche inquietante coincidenza che la dice lunga sui sentimenti e le aspettative di Big Business, Big Pharma, Big Tabacco, Big Oil, per non parlare delle preoccupazioni con le quali viene vista la nuova amministrazione dagli esponenti del cosiddetto partito della guerra, che spesso con le forze armate in senso stretto ha ben poco a che fare, ma è tanto, ma tanto, interessato a questioni quali le forniture, gli approviggiamenti, le grandi commesse che vengono dal Pentagono!

Orfane di quella vera e propria vincita alla lotteria che era rappresentata dalla prima stesura del piano Paulson che prevedeva che almeno una parte dei titoli tossici che le stanno letteralmente affogando sarebbe finita, a prezzi del tutto fuori mercato, sulle già molto gravate spalle dei contribuenti statunitensi, le banche a stelle e strisce e le altre entità a vario titolo protagoniste del mercato finanziario a stelle e strisce sono subissate, al pari di quelle del resto dei paesi maggiormente industrializzati da una vera e propria pioggia di vendite che stanno determinando lo sfondamento dei minimi toccati nella prima decade di ottobre anche per i colossi del settore, quali Goldman Sachs, Citigroup, Bank of America, mentre anche la leader del settore delle carte di credito, l’American Express è stata costretta a presentarsi con il cappello in mano ai plenipotenziari del dicastero del Tesoro statunitense per pietire un’immissione di capitale dell’ordine di 3,5 miliardi di dollari.

Quasi un novello Sansone disposto a tutto, pure a morire insieme a tutti i filistei, Hank Paulson, pur dovendo inghiottire la radicale revisione del suo piano tanto gradito dai suoi ex (?) colleghi, ha sfoderato ieri i suoi potenti, ma da un po’ di tempo alquanto spuntiti, artigli, scagliandosi con tutte le sue residue forze contro l’ipotesi tutt’altro che peregrina che vedrebbe parte dei 700 miliardi di dollari faticosamente strappati ad un alquanto riottoso Congresso dirottati verso le esangui casse delle maggiori case automobilistiche americane, in particolare quelle della general Motors che capitalizzava martedì scorso un quinto dell’italiana FIAT, anche essa, peraltro, da mesi sotto il tiro delle vendite più o meno speculative.

Se non bastasse tutto questo per guastarvi l’umore, basta prendere in considerazione le esternazioni del Chief Executive Officer di quella Merrill Lynch che ha di recente subito l’onta dell’acquisizione da parte della Bank of America, o quelle di Jimmy Dimon, numero uno di quella J.P. Morgan-Chase che ha dovuto farsi carico della prima delle ex Investment Banks ad essere cadute sotto il fuoco incrociato della speculazione e che risponde al nome di Bear Stearns, entrambi improvvisamente trasformatisi in cupe Cassandre, l’una vaticinante la Grande Depressione parte seconda e l’altra che ci avverte del fatto che la recessione da tempo in corso presenta molti più rischi di quelli caratterizzanti la crisi finanziaria.

Benvenuti nel club del Dr. Dome, un consesso che sino a poco tempo fa era abitato solo da Nouriel Rubini e da quei pochi altri che, come me, stanno dicendo e scrivendo cose analoghe dal settembre del 2007 in avanti, in un’epoca, cioè, nella quale i predetti personaggi, l’intera schiera dei banchieri, le banche centrali ed i governi non facevano che ripetere che la tempesta perfetta era in realtà poco più di una tempesta in un bicchier d’acqua, che il sistema finanziario era sostanzialmente sano e che, soprattutto, la crisi finanziaria non avrebbe assolutamente toccato l’economia reale, il tutto ripreso, tra rulli di tamburi e squilli di trombe, dalla moltitudine di giornalisti ed opinionisti del tutto embedded alle logiche del capitale finanziario.

Scrivevo l’altroieri che Giulio Tremonti nutre propositi molto bellicosi nei confronti dei banchieri e del gotha delle fondazioni di origine bancaria ed il per la terza volta ministro dell’Economia, approfittando delle aule parlamentari ha parlato di licenziamenti e carcere per i banchieri italiani nell’eventualità del fallimento di questa o di quella banca, probabilmente dimentico di averci rassicurato poco tempo fa che una simile eventualità non si sarebbe in alcun modo presentata, ma questo avveniva, appunto, qualche tempo fa e forse anche il commercialista prestato alla politica, come a suo tempo il compianto Leonardo Sciascia, chiederà che sulla sua lapide venga scritto: “vissi e mi contraddissi”.

Sono nel frattempo uscite due molto brutte trimestrali di Intesa-San Paolo e di Unicredit Group, con la prima costretta ad annullare il dividendo e la seconda salvata in corner dalla lesta applicazione degli IAS 39 nuova edizione di cui ha beneficiato per oltre 800 milioni di euro mentre ne ha guadagnati in tutto poco più di 500!

Ricordo che il video del mio intervento al convegno della UIL sulla crisi finanziaria è presente nella sezione video del sito dell’associazione Free Lance International Press all’indirizzo http://www.flipnews.org/ mentre gli atti del convegno sono esportabili dal sito http://www.uil.it/ nella sezione del dipartimento di politica economica.