Con un ritardo di ben sedici mesi, in larga parte dovuto alla sempre più aperta partigianeria dell’ex (?) investment banker, Hank Paulson, che occupa la carica di ministro del Tesoro da oltre due anni, il governo degli Stati Uniti d’America annuncia finalmente un piano volto ad intervenire sulle cause dell’ondata crescente di foreclosure che ha già fatto perdere la propria abitazione a milioni di famiglie americane in ritardo con le rate del mutuo, non necessariamente del tipo sub prime, a causa delle micidiali clausole trappola che hanno visto innalzare in ragione di multipli la relativa rata, spesso sino a superare lo stesso reddito mensile dei mutuatari, un meccanismo che si è ritorto come un boomerang sulle stesse banche concedenti che si trovano con una montagna di case che è sempre più difficile vendere.
Ebbene, l’attuale legislazione prevede la pratica impossibilità di modificare le condizioni del mutuo, legando di fatto le mani ai giudici che non possono disporre tali variazioni che, alla fine, determinerebbero una sorta di gioco win win, del quale trarrebbero giovamento tutte le parti in causa, banche, mutuatari ed anche i proprietari di case non gravate da mutuo che vedrebbero venir meno quella pressione eccessiva da offerta che sta spingendo inesorabilmente verso il basso le quotazioni delle loro case.
Come ho avuto più volte modo di ricordare nei mesi scorsi, si tratta né più, né meno dell’idea venuta ad una donna facente parte dell’amministrazione uscente, che perorò questa soluzione sin dal settembre del 2006, raccogliendo consensi di facciata, ma non riuscendo a perforare quel vero e proprio muro di fondamentalismo neoliberista che si oppose in ogni modo alla realizzazione di questo uovo di Colombo, preferendo sperperare centinaia di miliardi di dollari nel vano tentativo di rianimare le principali protagoniste del mercato finanziario statunitense e di quello globale che hanno finito per diventare le vittime dei micidiali marchingegni escogitati dagli apprendisti stregoni operanti nelle fabbriche prodotto delle oramai ex Investment Banks e di quelle divisioni di Investment & Corporate Banking che, da galline dalle uova sempre d’oro, si sono trasformate in vere e proprie palle al piede che stanno trascinando verso il baratro le banche più o meno globali.
L’ennesima ondata di panic selling in corso su tutti i mercati azionari del pianeta, nonché il recente esito delle elezioni presidenziali statunitensi, stanno spingendo inesorabilmente verso l’adozione di tale misura che, seppur non sufficiente per fermare il meltdown in corso, è, tuttavia, del tutto necessaria per minimizzare i danni giganteschi prodotti dalle sempre più alte ondate della tempesta perfetta in corso senza soste di rilievo dal 9 agosto del 2007.
Certo non aiutano dichiarazioni come quella del bellicoso e decisionista presidente francese, Nicolas Sarkozy, che, non si sa sulla base di quali informazioni, afferma di conoscere l’entità dei titoli tossici in possesso delle diverse entità operanti nel mercato finanziario europeo, una montagna da oltre 600 miliardi di euro che risulta largamente superiore a quanto dichiarato dalle diverse autorità di vigilanza e che rende comprensibili, vista l’autorevolezza della fonte, il nuovo tracollo delle azioni delle maggiori banche europee, alcune delle quali hanno toccato ieri livelli di perdita assolutamente senza precedenti, il tutto mentre interi settori industriali, quali quello dell’auto, stanno viaggiando a fari spenti nella notte in una situazione che non consente di escludere esiti drammatici anche per quelli che fino a poco tempo fa erano considerato colossi solidissimi, quali la General Motors o la Ford, per non parlare della tecnicamente fallita Chrysler.
Ma l’ondata ribassista sembra anche forzare prepotentemente la mano ai governi dei paesi maggiormente industrializzati verso misure volte ad un processo più deciso di nazionalizzazione delle maggiori banche e delle maggiori compagnie di assicurazione, quasi indicando in questa rivoluzione copernica rispetto al neoliberismo spinto sin qui dominante l’unica possibilità di evitare quel credit crunch da decine di migliaia di miliardi di dollari altrimenti inevitabile se le banche continueranno ad essere gestite dagli attuali vertici assolutamente terrorizzati dalle reazioni dei loro azionisti!
Non so se qualcuno tra i prossimi partecipanti al vertice del G20/G21 riuscirà a rimanere insensibile rispetto al grido di dolore che si leva dai mercati, ma sono sicuro che due di questi protagonisti, Gordon Brown e Nicolas Sarkozy, sono del tutto determinati ad impedire, costi quel che costi, che la riunione si risolva in nulla di fatto, avendo indissolubilmente legato i loro personali destini politici a quella che assomiglia sempre più ad una crociata contro i responsabili del disastro attuale, inclusi i regolatori e le agenzie di rating, colpevoli, e non solo agli occhi dei due leaders, di colpevole inerzia i primi e di erori a catena e non del tutto disinteressati i secondi.
Ma sono altrettanto certo che vi è un altro uomo politico che non è assolutamente preoccupato della tristissima piega che stanno prendendo gli eventi e questi risponde al nome di Giulio Tremonti, il per la terza volta ministro dell’Economia che vede finalmente giunta la sua ora per regolare una volta per tutte i conti con quei banchieri e quei finanzieri, sino ad ieri salvati in extremis dalle manovre di Gianni Letta e dai tentennamenti di Silvio Berlusconi che, oltre ai noti conflitti di interessi, non se l’è sentita di assecondare i piani del suo ministro, forse perché timoroso delle possibili reazioni degli attuali vertici delle maggiori banche e di quelle fondazioni di origine bancaria che sono le vere azioniste di riferimento dei tre principali gruppi bancari.
Le perdite assolutamente senza precedenti registrate ieri dalle azioni di Intesa-San Paolo e di Unicredit Group, per non parlare di quelle cumulate nei mesi precedenti, nonché il conflitto al vertice di Intesa, stanno creando l’occasione favorevole che Tremonti aspettava da tempo per vincere le resistenze in seno al Governo rispetto alla prima versione del suo piano di salvataggio, che torna così prepotentemente d’attualità!
Ricordo che il video del mio intervento al convegno della UIL sulla crisi finanziaria è presente nella sezione video del sito dell’associazione Free Lance International Press all’indirizzo http://www.flipnews.org/ mentre gli atti del convegno sono esportabili dal sito http://www.uil.it/ nella sezione del dipartimento di politica economica.