La coppia di dati a carattere chiaramente recessivo piovuta ieri su un già pesante mercato statunitense ha dato la stura ad un’ondata di vendite senza precedenti che ha spedito il Dow Jones al di sotto dell’importantissima soglia psicologica posta a 8 mila punti, con una perdita del 5 per cento, mentre lo Standard & Poor’s 500, pur riuscendo a tenersi di pochissimo al di sopra degli 800 punti, tocca il minimo degli ultimi 5 anni ed il Nasdaq si trova più o meno agli infimi livelli toccati dopo lo scoppio della bolla tecnologica che aveva toccato il suo apice nel 2000.
Una flessione record dei prezzi al consumo su base mensile (-1 per cento), ma, soprattutto, la prima flessione dell’indice al netto dei prodotti alimentari e di quelli energetici da tempo immemorabile, un dato che fa peraltro seguito ad una maxi flessione del 2,8 per cento, sempre su base mensile, registrata il giorno prima dall’indice che misura i prezzi alla produzione e che si accompagna ad un ulteriore calo delle nuove case e dei cantieri edlizi che spedisce il dato annualizzato delle nuove costruzioni sotto il livello delle 800 mila abitazioni, cosa che non si verificava dal 1959, hanno letteralmente chiuso la bocca alla residua pattuglia di ottimisti ad oltranza, quelli, cioè, che vedono la ripresa dietro ogni angolo.
Lo stallo drammatico del Senato sul doppio fronte rappresentato dalla questione degli aiuti per 25 miliardi di dollari all’industria automobilistica a stelle e strisce e l’altrettanto urgente questione dell’assegnazione di un plafond di dimensioni pressoché analoghe alla Federal Deposit Insurance Corporation per consentire una rinegoziazione di milioni di mutui al fine di evitare un’altra micidiale ondata di pignoramenti ha fatto il resto e le quotazioni delle maggiori banche statunitensi sono scese a livelli davvero senza precedenti negli ultimi anni, con colossi come Citigroup in calo del 23,44 per cento e fissati in chiusura a 6,40 dollari, mentre tutti gli altri si trovano accomunati da flessioni a due cifre, per non parlare del vero e proprio squagliamento delle quotazioni delle azioni delle tre maggiori case automobilistiche, un meltdown che sta trascinando inevitabilmente con sé le azioni delle maggiori Corporations operanti in settori contigui a quello automobilistico, ingrediente essenziale, insieme alla casa di abitazione, dell’oramai tramontato American Dream.
Che la situazione stia davvero volgendo al peggio è, peraltro, inequivocabilmente testimoniato dall’inusuale decisione di Hank Paulson di scrivere un articolo sulla stampa americana, ma ripreso dai quotidiani di mezzo mondo, per difendere le scelte sue e dell’amministrazione uscente di difendere con le unghie e con i denti quel che resta del “bottino” da 700 miliardi di dollari destinato al salvataggio di quel che resta del sistema bancario a stelle e strisce dagli assalti dei democratici che “pretendono” di utilizzarne una parte per evitare il fallimento dei tre colossi di Detroit e dare una mano alle famiglie americane in crisi per evitare di perdere la propria casa, incorrendo nella stessa sorte già toccata ad altri milioni di famiglie, molte delle quali hanno anche già perso il lavoro e si sono viste pignorata l’automobile.
In una revisione dell’antico detto sulla effettiva volontà e che suona come “chi vuole vada, chi non vuole ‘rimandi’”, i venti maggiori paesi industrializzati del pianeta hanno lanciato un messaggio terrificante ad un mercato che sa benissimo che ad aprile del 2009 sarà già accaduto quello che doveva accadere e che qualsiasi provvedimento perfetto preso in quella data, ammesso e non concesso che ciò accada e che le decisioni prese abbiano effetto immediato, molto difficilmente sarà in grado di far tornare nella bottiglia il liquido versato!
Purtroppo, come vado incessantemente dicendo da alcuni giorni, dietro questa chiara volontà dilatoria dei governi e delle autorità monetarie non vi è inerzia ma un’insopprimibile voglia di fare da padroni in casa propria, non costretti da scelte sopranazionali e da criteri condivisi con gli altri partners, una scelta che la dice davvero lunga sulle reali intenzioni di regolare, a livello nazionale, l’annoso conflitto/competizione che oppone i governi più o meno democraticamente eletti agli esponenti di quel potere economico transnazionale che negli ultimi decenni ha spesso dettato l’agenda alla politica, il che è stato drammaticamente vero nei cinque continenti e che ha prodotto i mostri dell’attuale finanziarizzazione e globalizzazione proprio grazie a quell’ondata deregolamentatrice che i governi di tutto il pianeta hanno disciplinatamente introdotto nelle rispettive regolamentazioni nazionali.
Sono da sempre tra quelli che sostengono le tante imperfezioni ed i disequilibri cui conduce il mercato lasciato a sé stesso, ma sono altresì fermamente convinto che non vi sia giudice più implacabile del mercato stesso, così sto sostenendo da diverse puntate che il piano distintamente, ma contemporaneamente, ideato dai vari Brown, Sarkozy, Merkel e Berlusconi alias Tremonti è stato perfettamente compreso dagli operatori che stanno bastonando quelle banche che dovrebbero farsi carico in prospettiva più o meno immediata delle altre e che ciò è possibile leggerlo nei grafici relativi delle quotazioni delle maggiori protagoniste dei diversi mercati azionari del vecchio continente, gran Bretagna inclusa.
Per settimane e per mesi siamo stati subissati da analisi molto embedded che cedevano il settore creditizio italiano relativamente al riapro dalle sempre più alte ondate della tempesta perfetta, con le maggiori banche unite come un sol uomo nel respingere con sdegno l’ipotesi di interventi pubblici a carattere condizionante della loro preziosa autonomia, con il risultato che più venivano diffuse queste esternazioni e più le azioni delle stesse banche scendevano, spesso con movimenti molto violenti, al punto che per molte di loro ci si sta movendo su livelli del tutto inesplorati, in quanto rappresentano dei veri e propri minimi storici, esperienza che, purtroppo, contagia l’economia reale!
Ricordo che il video del mio intervento al convegno della UIL sulla crisi finanziaria è presente nella sezione video del sito dell’associazione Free Lance International Press all’indirizzo http://www.flipnews.org/ mentre gli atti del convegno sono esportabili dal sito http://www.uil.it/ nella sezione del dipartimento di politica economica.