I governi dei paesi maggiormente industrializzati, i banchieri centrali e i regolatori di ogni ordine e grado continuano a chiedere agli investitori istituzionali e ai risparmiatori/investitori di dimenticare quanto è accaduto in questi ventidue mesi seguiti al blocco totale della liquidità sui mercati interbancari di tutto il mondo, quel fenomeno che era solo un effetto, seppur inedito e gravissimo, di quanto era avvenuto negli venticinque anni che avevano preceduto quel oramai famoso e fatidico 9 agosto del 2007, due decadi e mezzo dominate dai concomitanti fenomeni di finanziarizzazione globalizzazione e deregolamentazione selvaggia che hanno finito per produrre una montagna di titoli della finanza più o meno strutturata che è prudenzialmente stimata in un ammontare facciale di 50-70 mila miliardi di dollari e che si è accompagnata con una crescita esponenziale del mercato dei derivati, ma, in particolare negli ultimi anni di quel periodo ha visto uno sviluppo abnorme di quelle vere e proprie armi di distruzione di ricchezza rappresentati dai Credit Default Swaps, nati come pacifica arma di difesa rispetto alla possibilità di fallimento di una controparte più o meno indebitata e finiti per diventare un’arena infuocata di scommesse che vedeva davvero tutti contro tutti.
Questo pressing si è affatto ancora più determinato, assumendo a tratti toni anche minacciosi, da quando si è avviato il ritiro in ordine sparso dei fondi governativi, in particolare di quelli arabi e asiatici, dalle alquanto sconsiderate avventure a sostegno delle principali entità protagoniste del mercato finanziario globale, avventure dettate sì da considerazioni geopolitiche e dall’interesse dei governi proprietari dei sopra menzionati fondi di sostenere le nazioni che per decenni hanno rappresentato i mercati di sbocco di quote crescenti di export prima giapponesi, poi delle cosiddette tigri asiatiche e di Cindia (Cina e India), nonché di volumi sempre più rilevanti di petrolio, gas e altre materie prime provenienti dai paesi dell’Opec, dalla Russia, dall’Africa e dall’America Latina.
Ma poiché nessuno è fesso, in particolare nel sempre più cruento mondo degli affari, i gestori di questi fondi avevano valutato che i valori toccati dalle azioni delle banche e delle compagnie di assicurazione statunitensi ed europee nel davvero orribile mese di ottobre del 2008, a un mese di distanza dal fallimento di Lehman Brothers, dalla nazionalizzazione di AIG e dal salvataggio in extremis di Merrill Lynch e a soli tre mesi dalla decisione del famigerato trio Bush-Paulson-Bernspan di nazionalizzare le diverse entità semi pubbliche che svolgevano e svolgono un ruolo determinante nell’immenso mercato dei mutui immobiliari, un mercato nel quale le varie Fannie Mae e Freddie Mac garantivano quasi la metà degli 11 mila miliardi di dollari totali, ebbene i solitamente accorti gestori dei fondi governativi arabi e asiatici ritenevano che tali valori rappresentassero dei minimi assoluti e in larga misura determinati dal timore di un default sistemico che le decisioni del G20/G21 di garantire pressoché integralmente i depositi bancari e varare altre misure a carattere eccezionale avevano in qualche modo sventato, una visione che rendeva un proficuo business gli investimenti in Citigroup, Merrill Lynch, Barclays, Hong Kong Shanghai Banking Corporation e nella miriade di altre entità protagoniste del mercato finanziario globale!
Purtroppo per loro, e per tutti noi, la messa sul tappeto di risorse per complessivi dieci-quindici mila miliardi di dollari da parte dei governi rappresentati nel summit ottobrino di Washington non è servita a fermare i sempre più alti marosi della tempesta perfetta che, anzi, ha spazzato con un’altra e più alta ondata i mercati azionari dell’intero pianeta nel ancor più terribile mese di marzo, il mese nel corso del quale le due banche maggiormente beneficate dai fondi del TARP per 90 miliardi di dollari complessivi e di aiuti del sistema della riserva federale per centinaia di miliardi di dollari subirono l’onta di andare sotto la soglia di un dollaro nel caso di Citigroup e di quello dei due dollari nel caso di quella Bank of America che si era fatta carico dei disastri aziendali di Countrywide, Washington Mutual e Merrill Lynch, mentre la AIG faceva da bancomat miliardario per la miriade di banche statunitensi ed europee che portarono all’incasso quei CDS nei quali la sventurata compagnia di assicurazione a stelle e strisce aveva deciso di fare da controparte, una decisione che, secondo il nuovo inquilino della Casa Bianca, l’aveva di fatto trasformata in un immenso hedge fund.
Scottati duramente, e in qualche caso più volte, i gestori dei fondi governativi arabi e asiatici sono stati duramente richiamati all’ordine dai loro mandatari, i governi appunto dei rispettivi paesi, e hanno dovuto elaborare in fretta e furia exit strategies solo in parte favorite dalla successiva corsa dell’orso che sembra evaporare in questi giorni anche a causa delle massicce vendite effettuate da Temasek e dal fondo governativo di Abu Dhabi, vendite a volte in pesante perdita, a volte in attivo, ma che rappresentano, secondo i soliti bene o benissimo informati, soltanto la punta di un iceberg di dimensioni difficilmente calcolabili, anche perché le nuove strategie dei gestori non avrebbero soltanto a oggetto le azioni o le obbligazioni delle principali entità protagoniste del mercato finanziario globale, ma anche una gestione maggiormente diversificata di quelle migliaia di miliardi in Treasury Bonds e Treasury Bills di proprietà dei fondi o facenti la parte del leone nelle riserve valutarie dei rispettivi paesi di appartenenza (per avere un’idea, si pensi che la sola Cina ha in portafoglio titoli di stato statunitensi per poco meno di 800 miliardi di dollari).
Un segnale inequivocabile di questo sommovimento appena agli inizi è rappresentato dal nuovo vigore mostrato dall’euro e dallo yen che, nonostante gli strenui sforzi della Banca Centrale Europea e dalla Bank of Japan, hanno recuperato due terzi circa del terreno perduto nel corso di quel bimestre aprile-maggio dell’anno in corso, un periodo che verrà certamente ricordato dagli storici della tempesta perfetta come la fase di un vero e proprio inganno orchestrato da commentatori, giornalisti ed esperti del tutto embedded alle logiche del capitalismo finanziario, un coro davvero assordante e contro il quale poco o nulla hanno potuto i pochi Dr Doom e le Cassandre!
Ricordo che il video del mio intervento al Convegno della UIL sulla crisi finanziaria è presente sul sito dell’associazione FLIP, all’indirizzo http://www.flipnews.org/ . Riproduzione della presente puntata possibile solo citando l’autore e l’indirizzo del blog.