Come scrivevo nelle due puntate precedenti di questo mio avviso ai naviganti nella tempesta perfetta, di fronte ai minacciosi segnali provenienti dai ritiri di importanti investimenti effettuati dai fondi governativi arabi ed asiatici nel primo anno e mezzo della tempesta perfetta, i governi dei paesi maggiormente industrializzati, i banchieri centrali e i regolatori di ogni ordine e grado continuano a chiedere agli investitori istituzionali e ai risparmiatori/investitori di tornare a fare il proprio dovere, cosa che ostinatamente si sono rifiutati di far sin da due mesi prima dell’avvio della crisi finanziaria ancora altrettanto ostinatamente in corso da ventidue mesi, il che ci dice che lo sciopero degli investimenti sarebbe iniziato, in effetti, addirittura nel giugno del 2007, lo stesso mese nel quale l’orso di Stearns congelò e mise poi in liquidazione due suoi hedge funds.
Impegnati come sono a raccogliere sul mercato adesioni alle sempre più massicce emissioni di titoli di stato volti a coprire i buchi crescenti creati nei bilanci pubblici da interventi senza precedenti in favore delle diverse entità protagoniste del mercato finanziario e delle industrie sempre più in affanno, governi e banche centrali devono ora misurarsi con l’incognita del comportamento in materia dei fondi governativi arabi ed asiatici, nonché con lo sforzo sempre più massiccio svolto da quei paesi in termini di ricomposizione sia sul piano valutario che di rischio emittente, quello stesso sforzo che non pochi problemi aveva creato nel 2007 e nel 2008 al Tesoro statunitense e che aveva spinto l’euro sino a 1,60 dollari e aveva fatto sprofondare lo stesso dollaro sino alla davvero miserevole soglia degli 85 yen, una fase che ha vissuto una momentanea tregua solo nel bimestre aprile-maggio in concomitanza con la più che sospetta corsa dell’orso dei listini azionari statunitensi ed europei.
Come ricorderanno i più assidui tra i lettori del Diario della crisi finanziaria, mi ero visto costretto qualche mese orsono a rivedere radicalmente le previsioni sui cambi fatte alla fine del 2008, una revisione che vedeva per la prima volta l’ipotesi di un euro scambiato contro due dollari, mentre prevedevo un deprezzamento molto più modesto del dollaro che, grazie all’attivismo presumibile del Giappone, non avrebbe dovuto portarsi al di sotto della soglia dei 75 yen, mentre è del tutto impossibile prevedere cosa faranno le autorità monetarie cinesi rispetto all’annoso problema della sopravvalutazione dello yuan, mentre ho dovuto ribadire la previsione di un prezzo del petrolio oscillante di poco intorno ai 50 dollari al barile, anche se mi rendo perfettamente conto del fatto che, ove si realizzassero i targets previsti sui cambi, questo valore dovrebbe tenere conto dello squagliamento ipotizzato per la valuta statunitense, una valutazione, questa, che collima perfettamente con quella molto più autorevolmente avanzata di recente dallo sceicco Yamani, nella sua veste di presidente del più autorevole centro di studi sul petrolio e rafforzata dalla sua ventennale esperienza al vertice dell’OPEC, mentre, fossi nei panni degli analisti al soldo della potente ma ancor più preveggente Goldman Sachs non sottovaluterei affatto il significato del viaggio di Obama in medio oriente in corso in questi giorni, tappa saudita inclusa!
Ma la domanda alla quale difficilmente i leaders politici e le autorità monetarie dei paesi maggiormente industrializzati risponderanno è la seguente: per quale motivo gli investitori istituzionalie quelli in carne e ossa dovrebbero separarsi dal loro denaro dopo il vero e proprio bagno di sangue dagli stessi subito a causa della loro palese incapacità, se non della palese assenza di volontà, a tenere sotto controllo quelle stesse entità protagoniste del mercato finanziario globale che hanno, secondo i presidenti della repubblica francese e di quella tedesca, trasformato l’un tempo magico mondo della finanza in un immenso casinò a cielo aperto?
Non voglio tornare sull’alquanto miserevole sorte toccata a quanti, individui, fondi pensione o fondi d’investimento, avevano a suo tempo sottoscritto le obbligazioni emesse dalla General Motors e dalla Chrysler e ai quali è stato offerto o un decimo di quanto sborsato in denaro o la partecipazione alle nuove e non del tutto credibili avventure delle nuove entità che vedranno la luce dopo l’ignominioso passaggio attraverso le previsioni della legge fallimentare statunitense alle quali, a poco tempo di distanza, hanno entrambe dovuto fare ricorso, ad onta degli aiuti per decine di miliardi di dollari dalle stesse ricevuti dallo Zio Sam!
Non si tratta soltanto del netto ridimensionamento della ricchezza dei primi mille ricchi del pianeta, efficacemente fotografato dalla classifica annuale redatta dalla rivista specializzata Forbes, ma della ragionevole certezza che una qualsivoglia entità emittente titoli rappresentativi del suo debito sia tenuta a onorare in tutto o in larga parte le proprie obbligazioni, una preoccupazione che non pare molto condivisa dalle autorità politiche e da quelle monetarie che pure, almeno a parole, si sgolano letteralmente per indurre chi è già stato scottato a riprovarci, non fosse altro che per un più o meno sano patriottismo, un sentimento che, almeno stando ai neoliberisti che hanno dominato la scena fino all’avvio della tempesta perfetta, non dovrebbe avere alcuna cittadinanza quando si tratta di investimenti.
Il problema vero è rappresentato dal fallimento completo dello sforzo solennemente annunciato negli innumerevoli vertici dei paesi maggiormente industrializzati, uno sforzo volto a creare nuove e più affidabili regole alle quali si sarebbero dovute attenere le entità a diverso titolo operanti nel mercato finanziario globale, con particolare riferimento allo scottante tema del leverage ratio, giunto sino a cinquanta volte i mezzi propri in colossi creditizi del calibro di Deutsche Bank, ma al di sopra delle trenta volte non solo in quelle che un tempo venivano definite banche di investimento, ma anche nelle cosiddette banche universali che, dopo l’abbattimento degli ultimi paletti legislativi avvenuto verso la fine degli anni Novanta, hanno contribuito a creare quel sistema finanziario parallelo e scarsamente conosciuto che ha prodotto il meltdow attuale!
Ricordo che il video del mio intervento al Convegno della UIL sulla crisi finanziaria è presente sul sito dell’associazione FLIP, all’indirizzo http://www.flipnews.org/ . Riproduzione della presente puntata possibile solo citando l’autore e l’indirizzo del blog