Come i più attenti e assidui tra i miei lettori avranno notato, ho deciso di rendere più agili le puntate del Diario della crisi finanziaria, riducendo di circa un terzo lo spazio che mi ero prefissato quando, oltre seicento puntate fa, ho dato il via a questa avventura editoriale che è per me, allo stesso tempo, croce e delizia, una vera sfida rispetto alle mie tendenze più o meno karmiche, per non parlare di quella insensata decisione di mantenere a tutti i costi una cadenza quotidiana che volutamente non tiene conto né dei week end, né delle feste più o meno comandate.
Poiché sono in partenza per la prima breve vacanza dall’estate del 2007, dovrò fare ricorso alla programmazione anticipata delle puntate, ma, volendo fare di necessità virtù, vorrei approfittarne per fare il punto della situazione nei sistemi finanziari maggiormente colpiti dal meltdown dei valori rappresentativi della ricchezza, un’opportunità che difficilmente si ripeterà quando la cronaca della prossima ondata della tempesta perfetta, da me prevista nell’arco delle prossime due-quattro settimane, riprenderà necessariamente il sopravvento sulle ricostruzioni più o meno storiche.
Anche per ricollegarmi alla puntata di ieri, partirò dal Regno Unito, una nazione che ha subito un impatto quasi devastante sin dalle prime ondate della tempesta perfetta, non solo e non tanto per aver rivissuto, dopo centosessantasei anni, l’assalto agli sportelli di una banca, la successivamente nazionalizzata Northern Rock, ma anche perché, forse anche a causa del molto originale sistema di vigilanza, ha richiesto un intervento estremamente energico da parte del Governo, un intervento che si è tradotto in qualche forzata concentrazione e in una forte presenza dello Stato in ben due delle quattro maggiori banche, la Lloyds Bank e la Royal Bank of Scotland, mentre la Hong Kong Shanghai Banking Corporation e la Barclays tentano ancora, non sempre brillantemente, di cavarsela da sole (per la seconda, è utile vedere la puntata di ieri).
Chiunque abbia un po’ di memoria del drastico processo di ristrutturazione dell’industria finanziaria britannica negli ultimi decenni del secolo scorso, ricorderà che, al pari di quanto avvenne nel settore industriale, anche in quello dell’investment banking si realizzò la vendita di quasi tutte le banche della specie che vennero entusiasticamente acquisite da banche basate in Europa, Svizzera ovviamente compresa, negli USA e persino in Oriente, una decisione presa quasi all’unisono e in larga misura legata alla trasformazione delle principali banche commerciali in vere e proprie banche universali, una tendenza largamente mutuata da quanto stava avvenendo nel frattempo negli States e che venne solo più tardi mutuata anche dalle banche del Vecchio Continente e che è tra le principali cause della tempesta perfetta che si appresta a breve a compiere il suo secondo anno di vita.
Il recente successo dell’aumento di capitale della Lloyds e la contestuale decisione presa dalla stessa banca di iniziare la restituzione di parte dei 18 miliardi di sterline ricevuti dallo Stato, un successo che ha reso ancora più amara l’esperienza precedentemente vissuta dalla Royal Bank of Scotland consente di intuire che la banca colpita dalla cosiddetta “maledizione di Groenick” per la partecipazione, assieme al Santander e a Fortis, alla sventurata contro OPA sull’ABN AMRO fortemente voluta dalla rivale Barclays potrebbe finire in dote alla stessa Lloyd o a qualche altra delle banche britanniche che riusciranno a sopravvivere più o meno indenni alla crisi finanziaria, non esclusa, e sarebbe davvero una nemesi, l’antagonista Barclays, mentre nessuno è in grado di dire quale sarà la sorte di Northern Rock, anche se tutto questo tocca le prospettive del sistema finanziario britannico che non può essere esaminato separatamente dalla crisi politica e della quale parlerò più diffusamente nella puntata di domani.
1 commento:
Non ho ancora le idee chiare,ma molti timori
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