Che le due maggiori banche spagnole, il Bilbao Vizcaya e il Banco de Santander, abbiano sofferto molto, ma molto meno delle altre grandi banche europee delle conseguenze della tempesta perfetta oramai da qualche tempo entrata nel suo ventitreesimo mese di vita, è un fatto difficilmente discutibile e che ha le sue ragioni in un complesso di fattori che vanno dalla maggiore rigidità delle regole di vigilanza esistenti in Spagna, dalla estrema prudenza nella presenza nella finanza strutturata, nel forte radicamento in America latina, ma, soprattutto, nella gestione estremamente centralizzata del processo decisionale esistente in entrambi i due mega gruppi creditizi spagnoli, una caratteristica quasi unica al mondo e largamente dovuta al fatto che, al di là della formale esistenza sia degli organi collegiali che di quella pletora di comitati e sottocomitati, in entrambe le banche le decisioni vere vengono prese da una persona nel caso del Santander e da due al massimo in quello del Bilbao.
E’, tuttavia, a tutti noto che lo scivolone del Santander sul caso Madoff è costato parecchio a Don Emilio Botin, vero padre padrone di un Santander del quale non possiede in realtà che una piccola quota azionaria, sia perché ne ha incrinato quell’immagine di successo alla quale Botin tiene in modo quasi maniacale, sia perché gli ha impedito di coronare il suo sogno di archiviare l’orribile 2008 con i previsti 10 miliardi di euro di utile netto, il che gli avrebbe consentito l’accesso di diritto agli annali dei banchieri di maggior successo e avrebbe definitivamente mandato in soffitta quegli atteggiamenti di scetticismo più o meno aperto che ancora albergano nei circoli più esclusivi del mondo bancario che conta rispetto alla sua persona, alla sua banca e ai suoi strettissimi legami con l’Opus Dei.
Eppure, Don Emilio era stato l’unico a sfuggire alla maledizione di Groenick, l’ex numero uno di ABN AMRO che fece il possibile e l’impossibile per sfuggire all’assedio congiunto della Royal Bank of Scotland, di Fortis e dello stesso Santander, decidendo, anche in questo caso molto rapidamente e in perfetta solitudine, di rivendere la preda italiana di sua spettanza, la Banca Antonveneta, per ben 9 miliardi di euro al Monte dei Paschi di Siena, ottenendo pure di vendere ad altri e separatamente l’ex istituto di credito speciale che di Antonveneta era parte integrante, con il risultato da guadagnare 3 miliardi di euro nel volgere di pochi giorni, una somma certamente rilevante ma che coincide quasi millimetricamente con le perdite subite dai suoi migliori clienti caduti nello schema di Ponzi dell’oramai mitico ex presidente del Nasdaq, perdite che sono sicuro pagherà la banca di Don Emilio anche nell’esercizio 2009 come in larga misura è stato fatto in quello dell’anno precedente.
Non avrei voluto essere nei panni dei suoi massimi dirigenti nell’incontro che Botin ama tenere ogni domenica sera nella sua residenza privata la volta che iniziò a emergere la truffa ordita da Madoff e il di cui relativo alla clientela del Santander, ma credo che questa esperienza eserciterà un’influenza positiva sul molto irascibile banchiere spagnolo.
Così come accadde a suo tempo ai due massimi esponenti del Bilbao nel corso della crisi asiatica del 1997, quando, come ebbe modo di raccontare non ricordo se il presidente o l’amministratore delegato, di fronte alle rassicurazioni udite nel corso dell’assemblea annuale del Fondo Monetario Internazionale, i due si guardarono negli occhi e decisero di liquidare nel più breve tempo possibile tutte le posizioni inerenti l’area asiatica, una decisione della quale i due non ebbero mai a pentirsi e che evitò perdite miliardarie alla banca basca.