Non avendo potuto vedere in diretta il Non Farm Payrolls e il dato sul tasso di disoccupazione relativi al mese di maggio, diffusi entrambi nella giornata di venerdì scorso, né avendo avuto modo fino a ieri sera di conoscere queste due informazioni di cruciale importanza per tastare il polso all’economia a stelle e strisce a pochissimi giorni dall’ingresso trionfale della tempesta perfetta nel suo ventitreesimo mese di vita, ho chiesto ausilio al più importante motore di ricerca del pianeta per saperne qualcosa di più del nulla conoscitivo nel quale ero, ahimé, immerso.
Ho aperto la prima pagina che riportava entrambi i riferimenti e un non meglio precisato mese di maggio e ho seriamente pensato di essere finito in una sorta di universo parallelo, in quanto si trattava di previsioni di una perdita netta di buste paga per un minimo di 50 e un massimo di 60 mila unità, mentre il tasso di disoccupazione era molto, ma molto inferiore all’8,9 per cento che aprile ci aveva lasciato in eredità, ma l’autore della nota sul consensus degli analisti sui dati relativi al mercato del lavoro si premurava di spandere preoccupazione per il fatto che quel quasi certo dato negativo di maggio avrebbe rappresentato il sesto deperimento dell’esercito dei prestatori di opera statunitensi.
Ho capito così che, più che su un altro pianeta Terra, mi ero semplicemente imbattuto in una nota relativa al maggio del 2008 e che, nel frattempo, i mesi consecutivi negativi per l’occupazione a stelle e strisce erano diventati diciotto, che il tasso di disoccupazione era cresciuto di poco meno del doppio rispetto al dato ante crisi, portandosi a un 9,4 per cento che supera di 0,2 punti percentuali lo scenario degli stress test cui la Fed e il Tesoro hanno sottoposto le diciannove principali entità operanti nel mercato finanziario statunitense, ma che il tasso effettivo di disoccupazione, quello calcolato in unità di lavoro equivalenti a tempo pieno e tenendo conto degli ‘scoraggiati’, aveva addirittura oltrepassato il 16 per cento delle donne e degli uomini americani in età da lavoro, mentre la lieve crescita delle paghe orarie è molto presumibilmente legata al ricorso agli straordinari motivato non certo dalla domanda, ma bensì dalla pervicace volontà di non assumere nuovi dipendenti visto il non eccellente tempo che fa!
Per una recessione che, almeno sul piano dell’ufficialità statistica, sarebbe iniziata soltanto alla fine del 2007, avere espulso, in diciotto mesi e in un modo o in un altro poco meno di trenta milioni di persone in carne e ossa, bisogni ovviamente compresi, dal mercato del lavoro non è davvero un risultato disprezzabile e, oserei dire, un esercito di disoccupati di simili dimensioni non si era creato, almeno in valori assoluti, negli Stati Uniti d’America dalla fine del secondo conflitto mondiale, periodo peraltro d’oro per l’occupazione, almeno alla luce della concomitante necessità di combattere un conflitto di dimensioni epocali e mantenere un livello di attività certamente molto più elevato di quello che aveva caratterizzato quella grande nazione nei quasi quindici anni di Grande Depressione, una congiuntura quella bellica che vide certamente il maggior numero di donne e di uomini americani impegnati in un modo o nell’altro.
Mi permetto di consigliare vivamente sia ai miei lettori che agli ottimisti a un tanto al chilo di fare qualche salto a ritroso nel tempo, un esercizio al quale si presta agevolmente il provider di questo blog, Google, anche perché sono certo che di questi tempi la memoria storica, anche quella riferita alle diverse fasi attraversate negli ultimi ventidue mesi dalla tempesta perfetta, non è, in realtà, merce abbondante sul mercato, non parliamo poi di una memoria storica che abbia come suo arco di riferimento temporale gli ultimi due secoli.
Come ammettono più o meno volentieri anche gli analisti di professione, l’elemento più preoccupante per l’andamento di una economia, come quella statunitense, che basa oltre il 70 per cento della sua dinamica sulla propensione a spendere dei consumatori, è il raggiungimento di livelli record nello stock di senza lavoro, fenomeno che già di per se non aiuta a rendere meno pesante il meltdown immobiliare in corso da poco meno di tre anni e che, non del tutto casualmente, sta toccando progressivamente anche ceti sociali che venivano ritenuti e certamente si ritenevano immuni da procedure alquanto umilianti di foreclosure che, nella maggior parte dei casi, si concludono con la messa all’asta dell’immobile, spesso anche di pregio, in questione.
Anche i più ottimisti tra gli analisti sono in grado di fare due conti e di capire che l’ennesimo intervento a pioggia deciso dal Congresso su impulso della nuova amministrazione Obama, non potrà che fare la fine dei due mega piani precedenti fortemente voluti dal trio Bush-Paulson-Bernspan, entrambi ben provvisti di centinaia di miliardi di dollari che andavano, per importi esattamente commisurati al numero dei contribuenti, sia a chi aveva perso la casa, il lavoro, e in casi disgraziati, entrambi, sia a chi non era in alcun modo stato toccato dai sempre più alti marosi della tempesta perfetta, interventi che hanno inciso pochissimo anche quando rivolti ai più abbienti, per il semplicissimo motivo che il mood delle voracissime cicale statunitensi è divenuto tale da operare una loro trasformazione in formichine che battono ai punti anche le loro omologhe europee.
Quando scrivevo che la adesione, seppure sperabilmente temporanea, della Chrysler e della General Motors alle previsioni del Chapter Eleven della legge fallimentare statunitense poteva avere ripercussioni sul complesso dell’economia reale difficilmente immaginabili, non mi esercitavo nel mestiere di Cassandra, limitandomi per lo più a ripetere quanto veniva preconizzato dagli stessi vertici delle due aziende nelle loro alquanto umilianti e faticose testimonianze di fronte a questa o quella commissione del Congresso, tesi molto pessimistiche che erano riprese con un certo vigore anche dalla maggior parte degli economisti specializzati nel seguire gli andamenti del settore industriale, anche se penso che sia io che loro abbiamo peccato di ottimismo!
Ricordo che il video del mio intervento al Convegno della UIL sulla crisi finanziaria è presente sul sito dell’associazione FLIP, all’indirizzo http://www.flipnews.org/ . Riproduzione della presente puntata possibile solo citando l’autore e l’indirizzo del blog