mercoledì 3 giugno 2009

Le banche a stelle e strisce battono cassa per decine di miliardi e deprimono il mercato!


Il nuovo rimbalzo delle vendite di case esistenti realizzate nel mese di maggio negli Stati Uniti d’America, un dato molto enfatizzato ma che non ha scosso più di tanto il mercato ancora sconvolto dalla doppia scomparsa dal Dow Jones di due presenze storiche come la General Motors e il colosso creditizio Citigroup, non è purtroppo altro che il risultato di tre fattori concomitanti, il primo rappresentato dall’ennesima revisione verso il basso del dato del mese precedente, il secondo dall’ennesimo crollo del prezzo mediano delle abitazioni, oramai giunto a 170 mila dollari (meno di 120 mila euro al cambio di ieri) e la persistenza del bonus fiscale da 8 mila dollari previsto per chi acquista una prima casa.

Il poco entusiasmo degli operatori e degli investitori ha impedito per buona parte della seduta ai tre principali indici statunitensi di affacciarsi in territorio positivo, il che è avvenuto timidamente solo nelle ultime ore della seduta, anche se il clima è restato pesante per l’annuncio di nuovi aumenti di capitale richiesti al mercato da importanti banche quali quella dei nipotini di John Pierpoint Morgan e di Duke Rockfeller, che ha chiesto 5 miliardi di dollari a un prezzo poco scontato rispetto a quello attuale, o i 2,2 miliardi chiesti da Morgan Stanley che sta per far partire la joint venture con l’appena degradata Citigroup nell’asset management, per non parlare di quelli richiesti da un nutrito numero di banche di ogni ordine e grado, anche alla luce dell’approssimarsi della scadenza posta dal nuovo ministro del Tesoro, il sempre più silente Timothy Geithner che, come scrivevo in una precedente puntata del Diario della crisi finanziaria, sembra, al pari di Larry Summers, non essere più tanto amato dal nuovo inquilino della Casa Bianca.

Anche se largamente annunciati dopo il non brillante esito degli stress test cui le prime diciannove principali entità protagoniste del mercato finanziario statunitense, non vi è dubbio che il drenaggio di poco meno di 75 miliardi di dollari da azionisti tutt’altro che entusiasti sta un po’ raffreddando il rally dell’orso iniziato in aprile dopo i minimi toccati, in particolare dalle banche e dalle compagnie di assicurazione, nell’orrido mese di marzo, un minor entusiasmo che sta colpendo un po’ tutti i titoli del comparto, ma in particolare il già più volte citato colosso sempre più dai piedi d’argilla Citigroup che pure di miliardi al mercato dovrà chiederne pochi sia perché ha fatto il pieno con i fondi del TARP, sia perché ha avuto la fortuna di non dovere fare il cavaliere bianco con altre entità finanziarie più o meno in dissesto, come è invece toccato più volte in sorte a Bank of America o a J.P. Morgan-Chase, mentre la povera Wells Fargo forse si sta pentendo di avere strappato Wachovia Bank eil suo mega carico di titoli tossici proprio dalle mani di Citi!

Uno degli aspetti della vicenda che più sta facendo trattenere gli acquirenti è dato dalla telenovela delle sempre minacciate ma mai effettuate restituzioni di quanto ricevuto all’oramai esaurito TARP, non tanto e non solo per i chiarimenti forniti in materia dal Tesoro, che ha chiarito le molteplici condizioni che andranno soddisfatte dalle banche che vorrebbero così frettolosamente restituire i soldi e liberarsi di quei pochi condizionamenti imposti a suo tempo dalle autorità monetarie, ma perché risulta chiaro a tutti che sono ancora troppi gli scogli sulla rotta della flotta della finanza e ancora troppo alti i marosi di quella tempesta perfetta che continua a imperversare imperterrita da ventidue mesi e che si appresta tranquillamente a festeggiare il suo secondo compleanno tra poco più di due mesi.

Quello che più ha colpito l’immaginario degli operatori e degli investitori in merito alla decisione del comitato direttivo del Dow Jones di escludere fra pochi giorni l’azione di Citigroup tra i trenta principali titoli che formano il Dow Jones Industrials è la motivazione della decisione stessa, una motivazione che molti al pari di me non hanno ben compreso, ma che, come spesso accade in questi casi, ha un impatto emotivo che poco a che fare con le frasi di circostanza affidate all’imbarazzatismo manager cui è toccato il compito di parlare con i media, così come sarà venuto in mente a molti che dietro questa esclusione vi siano informazioni non proprio positive che non sono ancora note al mercato.

Mentre General Motors comincia a vendere i suoi primi pezzi ai migliori offerenti e la nuova Chrysler si appresta a uscire, salvo ricorsi in appello annunciati da tre fondi pensione creditori per la non lieve somma di 6,9 miliardi di dollari, dalle procedure della legge fallimentare per finire sottole cure dell’amministratore delegato Serge Marchionne, che continuerà a ricoprire analogo incarico nel gruppo FIAT, continua la debacle mensile del mercato automobilistico statunitense, con cali anno su anno che vanno dal 20 per cento di Ford al 30 per cento di General Motors e poco meno del 50 per cento di Chrysler (-47 per cento, per la precisione), una situazione che vede solo deboli segnali di miglioramento congiunturale per l’unica entità sopravvissuta, la Ford, che segnala qualche barlume positivo in maggio rispetto a un disastroso mese di aprile e che si appresta a lanciare l’arma fine di mondo facendosi integralmente carico dei primi tre mesi di rate legate all’acquisto di uno dei suoi modelli, aggiungendo, per sovrammercato, il finanziamento a tasso zero della restante parte di quanto dovuto dal cliente!

Mentre il mercato tiene il fiato sospeso in vista dell’annuncio del Non Farm Payrolls e del tasso di disoccupazione, entrambi previsti per venerdì prossimo, prosegue imperterrito lo stillicidio quotidiano di annunci di ridimensionamenti dell’organico da parte di aziende statunitensi di ogni ordine e grado, notizie che non aiutano il già depresso umore delle donne e degli uomini residenti negli Stati Uniti d’America che sembrano sempre di più come i titolari di un biglietto di una lotteria che prevede per gli estratti la perdita della casa, del lavoro e, in non pochi casi, la possibilità di perderli entrambi, uno stato d’animo che spiega bene perché, a fronte di un aumento dello 0,5 per cento dei redditi nel mese di maggio, i consumi siano scesi dello 0,1 per cento.

Ricordo che il video del mio intervento al Convegno della UIL sulla crisi finanziaria è presente sul sito dell’associazione FLIP, all’indirizzo http://www.flipnews.org/ . Riproduzione della presente puntata possibile solo citando l’autore e l’indirizzo del blog.