Per il secondo lunedì consecutivo, Wall Street e le principali piazze finanziarie europee hanno invertito bruscamente la rotta, rendendo del tutto vano lo sforzo compiuto dalle piazze asiatiche, in particolare da quella di Hong Kong, che avevano cercato di dare un’intonazione positiva all’ottava e di gettarsi dietro le spalle la battuta d’arresto segnata nella settimana precedente sui principali mercati azionari del pianeta.
A guidare la brusca ritirata sono state come al solito le entità protagoniste del mercato finanziario globale, che, stavolta senza particolari eccezioni, hanno registrato perdite significative e sono costrette sempre più a fare i conti con i problemi irrisolti messi a nudo da una tempesta perfetta cui mancano poco più di otto settimane per festeggiare il suo secondo compleanno con l’archiviazione della corsa dell’orso che tanto aveva scaldato i cuori degli analisti e degli economisti più embedded alle logiche del capitalismo finanziario e che oggi vedono a portata di mano la rottura verso il basso della soglia degli 8 mila punti del Dow Jones, un possibile test di quella posta a 1.500 punti per il Nasdaq, mentre il ben più significativo Standard & Poor’s 500 si è gia portato ieri, a metà seduta, al di sotto della soglia dei 900 punti.
L’inversione di tendenza iniziata il 15 di questo mese si sta, dunque, dimostrando molto più incisiva di quanto si potesse ritenere nelle prime sedute della scorsa ottava, confermando quanto fossero profonde le cause che mi avevano spinte a preconizzare l’arrivo di una nuova e più devastante ondata della tempesta perfetta in una serie di tre puntate significativamente intitolate “Avviso ai naviganti nella tempesta perfetta!” e in quella del 15 giugno dal titolo “Naviganti avvisati, mezzo salvati”, cause che vanno ad aggiungersi a quelle individuate nella puntata del 4 settembre del 2007 che ha dato il via all’avventura editoriale del Diario della crisi finanziaria e che non sono altro che i contraccolpi, a volte drammatici, della crisi della domanda effettiva in larga misura provocata dalla diminuzione della propensione al consumo e dal correlativo aumento della propensione al risparmio, una riduzione della domanda che non riesce a impedire quell’escalation delle sofferenze e delle insolvenze che è più difficile per le banche nascondere sotto il tappeto come si sta cercando disperatamente di fare con i titoli più o meno tossici della finanza strutturata!
Tra i tanti lasciti della corsa dell’orso sarà in un prossimo futuro annoverata la fallita scommessa della potente e ancor più preveggente Goldman Sachs sul prezzo futuro del petrolio, una ripetizione in tono minore di quanto è avvenuto nel 2008, ma che stavolta stentava a decollare per la sempre più palese della domanda dell’oro nero e delle altre materie prime legata ai vistosi cali del prodotto interno lordo nei principali paesi industrializzati, nonché alla forte contrazione della crescita in Cina e in India, una scommessa che ha contribuito non poco ai risultati di Goldman nel primo trimestre e nei primi due mesi del secondo dell’anno di disgrazia 2009, ma che rischia ora di tradursi in un drammatico boomerang per i conti della ex investment bank che non riesce in alcun modo a decidersi a essere quella banca commerciale che pure si è impegnata solennemente a essere nel settembre del 2008.
Purtroppo la fine della corsa insensata del greggio è stata determinata non dall’intervento dei governi e delle autorità monetarie, ma dalle sempre più depresse previsioni rese note in questi giorni dalla World Bank e dal fuoco di sbarramento dei principali paesi produttori che hanno chiarito, al di là di ogni ragionevole dubbio, che non gradiscono il ritorno alla volatilità dei prezzi sul mercato petrolifero, chiarendo che sono interessati più alla stabilità che a ritorni di breve periodo.