Due acquisizioni da oltre 6 miliardi di dollari l’una hanno ridato fiato ai mercati azionari europei e a quello statunitense, un rimbalzo che ha ignorato le pesanti flessioni segnalate dai listini asiatici, grazie anche al fatto che operatori e investitori oramai si attaccano a qualsiasi notizia per scuotersi dal torpore che sembra averli presi da qualche settimana, il tutto mentre il dollaro recupera terreno nei confronti dell’euro e il petrolio riprende a testare la soglia dei 67 dollari al barile
Non credo che il fatto che la Xerox abbia deciso di acquisire la Affiliated Computer Services per 6,4 miliardi di dollari o che la Abbot Laboratories abbia deciso di fare propria la divisione farmaceutica della belga Solvay per 6,6 miliardi di dollari costituiscano dei buy signals, ma ognuno è libero di pensarla come vuole quando si tratta di investire i propri soldi.
Il movimento altalenante dei tre principali indici statunitensi attorno a livelli comunque molto elevati rispetto ai minimi toccati nel marzo di quest’anno è chiaramente collegato all’incertezza degli investitori, soprattutto di quelli individuali, rispetto alle prospettive di una ripresa che, dopo una serie di dati interlocutori nel mese di agosto, sembra tardare a manifestarsi, al di là delle certezze espresse più volte da autorevoli esponenti della amministrazione Obama e dal neo confermato numero uno del sistema della riserva federale.
In realtà, quelle stesse dichiarazioni sono sempre state accompagnate da una serie di warning sulla attuale inadeguatezza dell’offerta di credito e sui sempre più cauti comportamenti dei consumatori a stelle e strisce, criticità non da poco e che potrebbero impedire una ripresa significativa e sostenibile, ma è soprattutto l’andamento dei prezzi che induce a ritenere che lo stato della domanda non sia proprio effervescente.
L’ultimo segnale in questo senso è giunto stamane dal Giappone, dove si è registrato un calo, su base annua, dell’indice dei prezzi al consumo depurato della componente alimentare del 2,4 per cento nel mese di agosto, una flessione che non ha precedenti nella serie statistica avviata nel 1971 e che getta pesanti ombre sulle possibilità di ripresa di questo paese tutt’altro che secondario nello scacchiere internazionale, possibilità già minate dal vero e proprio crollo delle esportazioni, in particolare nel settore degli autoveicoliconsente di il che una
Quello che non risulta affatto chiaro è lo stato di salute delle banche statunitensi, in particolare di quelle che non godono di quella sorta di assicurazione occulta legata alle loro dimensioni, e l’infittirsi di anticipazioni su una richiesta della Federal Deposit Insurance Corporation di riscuotere in anticipo le fees dovute dalle banche per rimpinguare il fondo di cui dispone per gli interventi in caso di default non lascia presagire nulla di buono e non solo per le tesorerie delle banche costrette a far fronte a un salasso imprevisto, almeno nella tempistica, per un ammontare che viene stimato nell’ordine dei 36 miliardi di dollari.
Le esigenze dell’organismo guidato da Sheila Bair sono note, anche alla luce del salasso subìto nel corso degli ultimi dodici mesi, ma la dimensione dei fondi richiesti in anticipo lascia supporre che sia destinata a cessare una delle anomalie più stridenti della tempesta perfetta rispetto alle crisi precedenti e che è rappresentata proprio dal relativamente esiguo numero di banche andate in default rispetto, a esempio, a quanto è avvenuto nei primi anni Novanta in occasione della crisi delle Saving & Loans.