Il Non Farm Payrolls di agosto segnala un rallentamento della emorragia di posti di lavoro negli Stati Uniti d’America, con una perdita di ‘solo’ 216 mila buste paga, mentre il tasso di disoccupazione, dopo l’alquanto illusoria mini flessione di luglio, si porta al massimo degli ultimi 26 anni, toccando il 9,7 per cento, anche per il ritorno sul mercato del lavoro di alcuni di coloro che se ne erano allontanati per scoraggiamento, mentre colpisce che, con quelli di agosto, il numero degli occupati dell’industria a stelle e strisce ad avere perso il lavoro da gennaio ha toccato la soglia di 2 milioni.
Trattandosi della terza puntata consecutiva del Diario della crisi finanziaria avente a oggetto la questione dell’occupazione, eviterò di ripetere i ragionamenti fatti nelle due puntate precedenti, ma mi preme sottolineare come anche questa coppia di dati rilasciati ieri confermi la prosecuzione della distruzione di ricchezza e l’erosione dei fattori della produzione in corso dalla fine del 2007, un fenomeno che si accompagna al meltdown immobiliare e a quello dei titoli più o meno tossici della finanza strutturata.
Il ragionamento più corretto sui dati relativi all’occupazione sembrano averlo fatto gli operatori del mercato del petrolio, che continua a oscillare di poco intorno alla soglia dei 68 dollari al barile, non fosse altro che continua a aumentare il numero di cittadini americani che utilizzeranno meno l’automobile per recarsi al lavoro!
Sempre ieri vi sono stati due interventi che meritano di essere segnalati, anche se, con riferimento ai dichiaranti, è davvero difficile immaginare due persone più diverse tra loro come il presidente della Banca Centrale Europea, Jean Claude Trichet, e il Dr. Doom, alias Nouriel Roubini, eppure, almeno ieri, le cose che hanno detto non sono poi così diverse, in quanto entrambi hanno segnalato il possibile raggiungimento di un punto di minimo nella flessione dell’economia dei paesi maggiormente industrializzati, ma entrambi hanno anche segnalato una serie di problemi per l’immediato avvenire.
Per quanto riguarda il germanizzato Trichet, non stupisce che, a differenza di Bernspan e altri banchieri centrali, ponga molta attenzione ai rischi che ancora sono presenti dopo il rallentamento della caduta verticale del prodotto interno lordo intervenuta a cavallo della fine dello scorso anno, questioni che attengono sia alla tenuta degli intermediari creditizi, sia al problema della disoccupazione, preoccupazioni che gli fanno ritenere del tutto prematuro parlare delle misure necessarie a riassorbire la liquidità in eccesso iniettata dalla stessa BCE in questi due anni, ovviamente aggiungendo che, quando sarà giunto il momento, tutto verrà fatto prontamente e, aggiungo io, con la teutonica efficienza dell’istituzione che si pone come l’erede della Buba.
Più interessanti i ragionamenti di Roubini, non fosse altro perché si tratta dell’unico economista accreditato di avere previsto la crisi finanziaria e che la stessa era in realtà una tempesta perfetta, in quanto, oltre a prevedere due-tre anni di percorso sostanzialmente flat dell’economia sia statunitense che globale prima che sia possibile percorrere la seconda gamba della U, il che già di per sé è un’ipotesi da far venire i brividi ai governi e alle autorità monetarie, teme anche che un’eventuale errata gestione delle manovre di rientro dalla gestione emergenziale potrebbe aprire la strada a una nuova fase recessiva, anche perché sarà molto difficile sostituire i consumi americani con quelli di altre aree del pianeta.