sabato 26 settembre 2009

Un mare di sofferenze sui prestiti sindacati!


A un solo giorno di distanza dalla flessione del 2,7 per cento delle vendite di case già esistenti in agosto negli Stati Uniti d’America, è giunto ieri il calo, altrettanto a sorpresa, degli ordini di beni durevoli, una flessione del 2,4 per cento che fa seguito a un rialzo del 4,8 per cento in luglio, anche se in entrambi i mesi ha pesato la componente molto volatile dei velivoli, in forte crescita in luglio e in calo di poco meno del 50 per cento in agosto, ma anche il dato che non tiene conto di questa componente è rimasto invariato, mentre il consensus degli analisti prevedeva una crescita di mezzo punto percentuale.

Insomma, nonostante le certezze sulla ripresa oramai in atto, è abbastanza evidente che quella di luglio sembra, ogni giorno che passa, rivelarsi al più una falsa partenza, anche se è sui dati di quel mese che Bernspan e i suoi colleghi hanno ripetutamente affermato che la tempesta perfetta era sostanzialmente finita e la ripresa, appunto, oramai in corso.

Una spiegazione di questa contraddizione tra i desideri e la dura realtà, la si può trovare in un rapporto denominato Shared National Credit Program 2009 Review, un rapporto annuale che viene presentato sin dal 1977 e al quale collaborano la Federal Reserve, il Federal Deposit Insurance Corporation, l’Office of the Comptroller of Currency e l’Office of Thrifts Supervision, di fatto tutte le entità chiamate a vigilare sul mercato creditizio a stelle e strisce, un rapporto che prende in esame solo i prestiti sindacati da 20 milioni di dollari in su.

Pur con le limitazioni di perimetro indicate, emerge che le perdite delle banche statunitensi relative a questo tipo di prestiti di grande ammontare sono triplicate nel 2009 portandosi a 53 miliardi di dollari, ma che l’ammontare dei crediti dubbi ha toccato i 643 miliardi di dollari, cioè il 22,3 per cento dei crediti censiti dal SNC, mentre si fermava al 13,4 nel 2008.

Impressionante l’escalation dei crediti più a rischio, escludendo cioè quelli semplicemente sotto osservazione, in quanto si passa dai 163 miliardi di dollari del 2008 ai 447 dell’anno in corso, anche in questo caso ci troviamo di fronte a un dato cresciuto di poco meno di tre volte nel giro di soli dodici mesi, ma ancora più impressionante è la crescita annua di quelle che noi considereremmo sofferenze in senso stretto e perdite vere e proprie, un aggregato che cresce di quattordici volte, portandosi a 110 miliardi di dollari.

La quota di questi prestiti sindacati di pertinenza delle banche straniere è alquanto considerevole, venendo indicata nel rapporto pari al 38 per cento, mentre quella di pertinenza delle non banche, fondi pensione, fondi di investimento, hedge funds e compagnie di assicurazione è pari al 21 per cento, una quota certamente elevata per dei soggetti non bancari, ma il problema è che la quota di crediti dubbi facente capo a queste entità è largamente superiore alla loro ‘quota di mercato’ e viene indicata al 47 per cento, un dato che è abbastanza in linea con le attribuzioni delle perdite a questi soggetti stimate dagli economisti del Fondo Monetario Internazionale.

Sono cifre da brivido che fanno capire meglio l’accenno di Volker alle non garanzie di salvataggio per le entità non bancarie, ma che rendono poco tranquillizzante anche la situazione delle banche statunitensi e di quelle straniere, facendo comprendere meglio la determinazione emersa nel vertice del G20 in merito alle nuove regole e alla necessità di legare i bonus dei top manager a obiettivi di medio periodo!