Dopo cinque sedute consecutive al rialzo, i mercati azionari statunitensi sembrano orientati a prendere respiro e l’ultima seduta della settimana è sempre un ottimo momento per prendere i profitti realizzati e rinviare tutto a lunedì, un momento di pausa che contagia anche i mercati valutari, con il dollaro fermo a poco meno di 1,46 contro l’euro, le commodities in generale e il petrolio in particolare, per finire con una flessione del prezzo dell’oro, apparentemente pago di aver superato la soglia psicologica dei mille dollari per oncia.
In questo scenario alquanto sonnolento, spicca l’ostinazione dei grossisti statunitensi che si producono nell’undicesimo calo consecutivo delle scorte nei loro depositi, una flessione dell’1,4 per cento in luglio, ma che viene dopo una revisione al rialzo di quella del mese precedente, passata dal -1,7 della prima lettura a -2,1 per cento, il tutto a dispetto del quarto rialzo consecutivo delle vendite ai dettaglianti, anche se in luglio si è registrato un modesto +0,5 per cento dopo il rotondo 2 per cento di giugno.
Insomma, questa importantissima categoria di intermediari - si calcola che presso di loro giacciano un quarto delle scorte complessive - non sembra proprio credere ai proclami quotidiani sulla ripresa sempre dietro l’angolo e vogliono vedere qualcosa di davvero concreto prima di riprendere i loro ordini alle industrie, uno scetticismo che li arruola di fatto tra i sostenitori della tesi che tra la prima e l’ultima asta della U vi possa essere un lungo tratto più o meno orizzontale, se non qualche sorpresa sgradita, anche questa dietro l’angolo!
Dovunque abbiano i loro depositi, è davvero per i grossisti non vedere l’infittirsi dei cartelli che indicano la vendita, più o meno coatta, delle case, né ignorare che l’esercito dei senza lavoro continua a ingrossarsi ogni mese che passa, tutte persone che in passato sembravano non essere mai sazi di visitare i mall o i negozi sparsi, sempre pronti a fare zip zip con le loro carte di credito revolving, mentre da almeno un anno a questa parte sembrano diventati attentissimi e risparmiasi al massimo, una mutazione genetica che sta avvenendo anche in chi non ha, per sua fortuna, perso né la casa né il lavoro, ma ha capito che le certezze di un tempo non abitano più nella grande nazione a stelle e strisce.
Che non si tratti di un segnale da sottovalutare è più che evidente, anche perché vi è una profonda differenza tra un grossista e un produttore di beni, in quanto il secondo è quasi costretto a credere in un futuro migliore e ha come sua bandiera “chi si ferma è perduto”, un modo di vedere che è proprio anche dei dettaglianti, siano essi titolari di singoli negozi o di grandi catene, che non a caso si stanno esercitando nella perenne stagione dei saldi, ipersaldi, pubblicizzazione di orari impossibili nei quali si sconta ancora di più e via discorrendo, un modo di vedere che non contagia il grossista, una figura per la quale la peggiore sciagura consisterebbe proprio nel fare il passo più lungo della gamba e trovarsi i magazzini piene di merci che non escono alla stessa velocità in cui entrano.
Si è molto discusso in questi ultimi venticinque mesi su quale indicatore tenere sotto controllo per avere un segnale della ripresa, segnale che alcuni vedono nel mercato del lavoro, in particolare per l’indicatore che misura le nuove richieste di sussidi di disoccupazione, altri tengono sotto occhio il mercato immobiliare o le vendite al dettaglio, mentre io, pur non sottovalutando gli altri indicatori, preferisco tenere sotto stretta sorveglianza proprio il comportamento dei grossisti!