mercoledì 16 settembre 2009

Geithner mette in vendita un terzo di Citi!


Secondo anticipazioni dell’agenzia di stampa economica Bloomberg, Timothy Geithner starebbe seriamente pensando di mettere in vendita il pacchetto di azioni detenuto dal Tesoro a seguito della trasformazione in azioni ordinarie dei titoli acquisiti ai tempi del salvataggio del colosso creditizio statunitense, un pacchetto da 7,7 miliardi di azioni, pari al 33,6 per cento del totale, una vendita che inizierà a ottobre e durerà tra i sei e gli otto mesi.

L’operazione, almeno agli attuali prezzi di mercato, porterebbe un utile per il Tesoro pari al 40 per cento della somma investita, anche se difficilmente un’offerta così massiccia di azioni non avrà riflessi depressivi sulle quotazioni del titolo, effetti che potrebbero però essere controbilanciati dal fatto che l’uscita dell’azionista pubblico potrebbe essere letto come una sorta di segnale che, dopo aver spesato perdite e svalutazioni per 100 miliardi di dollari, le prospettive della banca sono migliori rispetto a qualche mese fa.

Il salvataggio di Citigroup non è costato solo i 45 miliardi di dollari erogati in due riprese dal TARP, ma, in perfetta analogia con quanto è accaduto per altre grandi banche, il sistema della riserva federale ha provveduto a farsi carico di centinaia di miliardi di dollari di titoli più o meno tossici della finanza strutturata, un particolare tutt’altro che secondario e che certamente non sarà sottolineato negli articoli che la stampa statunitense e quella mondiale dedicheranno a questa importante svolta nella tempesta perfetta.

Le speranze di poter vendere un ammontare così rilevante di azioni vengono alimentate dalla recente buona accoglienza ricevuta da un offerta di vendita del 9 per cento del colosso svizzero UBS da parte di un fondo di investimento, un pacchetto azionario che è stato facilmente collocato, una maxi vendita che non ha impedito all’azione di apprezzarsi del 12 per cento dalla data dell’operazione.

Quello che è certo è che non era possibile procrastinare la presenza diretta dello Stato in Citi, una presenza che suona come una bestemmia per il sistema economico a stelle e strisce, un sistema basato, almeno quando le cose vanno bene, sul predominio del mercato nelle vicende economiche, vicende sulle quali è lasciato al potere politico e alle Authorities soltanto un ruolo di regolazione e di controllo che, come le vicende di questi ultimi due anni hanno dimostrato, non deve essere stato molto efficiente ed efficace.

Passi per la presenza dello Stato nel settore automobilistico, ma il possesso di rilevanti pacchetti azionari delle banche rappresentava davvero una contraddizione in termini e comportava rischi che la nuova amministrazione americana non ha davvero nessuna voglia di correre, così come ha scartato ogni ipotesi di nazionalizzazione anche temporanea delle principali banche, cosa che sarebbe stata del tutto logica alla luce degli ingenti interventi di sostegno fatti a spese dei contribuenti, considerazioni che, tuttavia, non state applicate nel caso di Fannie Mae e Freddie Mac, così come in quello di AIG

Dopo i fulmini e le saette di Obama su Wall Street, ieri è stata la volta di Bernspan che ha ripetuto per l’ennesima volta che il peggio della recessione è passato, anche se, secondo il neoconfermato numero uno della Fed, non vi sono molte speranze di riassorbire la disoccupazione e il credit crunch non promette nulla di buono.