mercoledì 9 settembre 2009

L'inesorabile declino del biglietto verde!


Era davvero tanto tempo che il dollaro non scivolava nei confronti dell’euro come è accaduto ieri, una flessione che ha reso necessari 1,45 dollari per ottenere un euro e che ha consentito all’oro di passare la barriera dei 1.000 dollari e al petrolio di riportarsi al di sopra dei 70 dollari al barile, tutte variazioni che è difficile non collegare alla recente dichiarazione dei ministri economici e dei banchieri centrali del G20 sulla assoluta inopportunità di invertire la rotta rispetto ai piani di stimolo delle economie dei rispettivi paesi, così come sembra molto di là da venire la politica dei tassi ai minimi storici e le maxi iniezioni di liquidità in favore del sistema bancario.

E’ del tutto evidente l’implicazione di tale decisione, che certamente verrà avallata dal prossimo summit dei capi di Stato e di governo del G20 che si svolgerà negli USA, sul valore esterno della valuta statunitense, un valore che non potrà non essere fortemente influenzato da un deficit pubblico per l’anno fiscale in corso pari o superiore ai 2 mila miliardi di dollari e da un debito pubblico che rischia di superare, in un breve volgere di tempo, lo stesso prodotto interno lordo a stelle e strisce, una spirale micidiale che non potrà non influenzare pesantemente anche il 2010 e il 2011, cosa della quale non possono non tenere conto i detentori esteri di dollari e di titoli denominati in tale valuta che continua a fare la parte del leone nelle riserve valutarie mondiali.
.
Certo, siamo ancora lontani dai minimi toccati nella prima fase della tempesta perfetta, quando il per un euro occorrevano 160 dollari e bastavano appena 85 yen per ottenere un dollaro, ma la strada di un declino ulteriore della valuta statunitense appare chiaramente segnata e non è chiaro per quanto tempo continuerà quel sostegno internazionale da parte dei paesi che hanno tutto da perdere da un avvitamento del biglietto verde.

Nel frattempo, le quindici più importanti banche del pianeta hanno sottoscritto una missiva nella quale si impegnano a utilizzare in modo preponderante la Federal Reserve di New York quale clearing house per l’operatività in derivati, una misura, sostengono le banche, che potrebbe consentire di ridurre i rischi sistemici in un mercato che viene stimato intorno ai 600 mila miliardi di dollari, una parte dei quali è rappresentata da quella sorta di arma di distruzione di ricchezza denominata Credit Default Swap.

La mossa delle banche tende a evitare i rischi di una regolamentazione eccessivamente stringente cui stanno lavorando congiuntamente la Securities & Exchange Commission e la Commodity Futures Trading Commission, un’eventualità tutt’altro che remota in particolare con riferimento all’operatività sui derivati relativi alle materie prime in generale e al petrolio in particolare, un mercato che, come è noto, non è soggetto alla stessa regolamentazione esistente per quello nel quale si scommette sui prodotti agricoli.

Quello della riforma del mercato dei derivati rappresenta un importantissimo banco di prova della volontà dei governi e delle diverse Authorities dei paesi maggiormente industrializzati, Stability Forum Group ovviamente incluso, di stabilire regole che impediscano una ripetizione di fenomeni quali la tempesta perfetta oramai entrata nel ventiseiesimo mese di vita, un impegno solenne preso di fronte all’opinione pubblica mondiale e che sembrava cosa fatta nei discorsi che Bernspan, Paulson e l’italiano Draghi tennero nell’oramai celebre cena a porte rigorosamente chiuse cui vennero invitati, in margine delle assemblee del Fondo Monetario Internazionale e della Banca Mondiale svoltesi nell’aprile del 2008, il gotha della finanza internazionale!