La crescita della produzione industriale in agosto e un ritorno a valori positivi per il Consumer Price Index starebbero a indicare che la recessione sarebbe finita nel mese di luglio, ma si tratta di una lettura perlomeno frettolosa e che non tiene conto del programma di incentivi per l’auto che è scaduto a dicembre e della ripresa dei prezzi del petrolio, non a caso a trainare la crescita della produzione è stato proprio il settore automobilistico con un +5,5 per cento, mentre il dato complessivo si è fermato a +0,8 per cento.
Si tratta comunque di due informazioni positive e che come tali sono state salutate dal mercato azionario che potrebbe archiviare la settima seduta positiva su otto sedute consecutive, una serie di tutto rispetto, ma che ancora manca di quella convinzione che si è vista tra la metà di marzo e la metà di giugno.
Certo è che martedì la dichiarazione di Bernspan sulla fine della recessione non ha entusiasmato Wall Street, anche perché la sua parte ancora legata al docente di Princeton, Benjamin Bernanke, ha condito l’affermazione di tanti e tali paletti che era davvero difficile per gli investitori scatenarsi in un’ondata di acquisti, in particolare gli investitori individuali che sembra proprio stiano ancora chiedendosi quanto sia sostenibile la strada compiuta dai tre principali indici azionari statunitensi in questi ultimi sei mesi.
Nel frattempo, i magazzini hanno continuato a ridurre le scorte a tutti i livelli, aziende, grossisti e dettaglianti per il dodicesimo mese, un segnale su cui ci si sta interrogando, anche alla luce del fatto che le vendite sono state caratterizzate dal segno più per il secondo mese consecutivo, ma è abbastanza chiaro che il fenomeno è destinato a ripetersi almeno sino a quando non vi saranno indizi più concreti di quella ripresa dei consumi che ancora tarda a manifestarsi a onta dei peana degli ottimisti a ogni costo.
Non passa giorno senza che il dollaro continui a indebolirsi sia nei confronti dell’euro che dello yen giapponese, uno squagliamento graduale e che ieri ha reso necessari oltre 1,47 dollari per un euro, mentre è ancora intatta la soglia psicologica posta a 90 yen e la sterlina continua nel suo processo di rafforzamento.
Mi ha colpito un titolo che riporta una lunga intervista fatta a Warren Buffett, il mitico leone di Omaha, sull’attuale fase della tempesta perfetta, in quanto il grande finanziere ha detto che l’economia non va peggio, ma non va neanche tanto meglio, anzi, a suo dire, stiamo ancora scendendo, una valutazione che è molto in linea con quella di Nouriel Roubini e di altri economisti non embedded che vedono il rischio concreto di una lunga fase di modesti alti e bassi prima che, salvo tutt’altro che esclusi incidenti di percorso, si possa percorrere verso l’alto l’asta della U scelta come indicativa della recessione in corso, in luogo della V cara a tutti quanti gridano alla ripresa da lunga pezza.
Mentre è stato molto esplicito su svariati argomenti, Buffett è apparso alquanto reticente quando la cronista gli ha chiesto se, a partire dalle difficoltà delle banche a stelle e strisce in relazione all’elevatissimo livello di insolvenze sulle carte di credito e i mutui sia residenziali che commerciali, sia possibile un secondo tempo della fase recessiva, ma era difficile aspettarsi che un uomo prudente come lui fosse più esplicito!