Ripropongo la serie di puntate dedicate a Goldman Sachs pubblicate nel luglio di alcuni anni orsono anche perché quello che sta accadendo nel mercato del petrolio rende ancora attuali quei ragionamenti.
Nella puntata di mercoledì del Diario della crisi finanziaria ho dedicato ampio spazio all’analisi dei risultati relativi al secondo trimestre della potente ma ancor più preveggente Goldman Sachs, così come ho cercato in numerose altre puntate di offrire ai miei lettori qualche informazione su questa entità che è davvero difficile inquadrare sia nel contesto delle oramai ex Investment Banks, sia nell’ampio e variegato panorama creditizio più o meno globale, anche perché, anche dopo la forzata trasformazione in holding bancaria soggetta alla vigilanza della Federal Reserve avvenuta nell’autunno dell’anno scorso, tutto si può dire meno che Goldman abbia cercato di mutare pelle trasformandosi, come qualcuno aveva molto ingenuamente previsto, di diventare un’entità più ‘normale’.
Come ho ripetutamente sottolineato, la maggior parte dei ricavi e degli utili di Goldman provengono dall’attività di posizionamento su quasi tutto quanto viene trattato sui mercati regolamentati, un’operatività che spazia dai prezzi futuri delle materie prime energetiche e non, le derrate alimentari, i tassi di interesse, le valute convertibili, gli indici azionari o le singole azioni, attività che, peraltro, svolge in quasi perfetta solitudine da quando sono scomparse dalla scena Bear Stearns, Lehman Brothers e Merrill Lynch, la prima e la terza assorbite, rispettivamente, da J.P. Morgan Chase per un classico piatto di lenticchie, e da Bank of America, che, come è stato ampiamente e documentalmente dimostrato nelle aule del Congresso americano, è stata praticamente costretta da Bernspan e Paulson a pagare un prezzo stratosferico per un’entità tecnicamente più che fallita e a cui non è stato neppure consentito di fare nemmeno uno straccio di due diligence.
Per quanto riguarda, invece, la scomparsa dalla scena della banca un tempo appartenente ai fratelli Lehman, il discorso sarebbe troppo lungo per essere affrontato in questa sede e mi vedo costretto a rinviare i lettori alle numerose puntate specificamente dedicate ai retroscena di quel funesto avvenimento dopo il quale nulla più è stato come prima, un avvenimento che non è mai stato spiegato in modo comprensibile e razionale dall’ex (?) investment banker Hank Paulson, numero uno indiscusso di Goldman sino a quando ritenne, a metà del 2006, opportuno assumere l’incarico di ministro del Tesoro degli Stati Uniti d’America e che, in tale veste, non si oppose in alcun modo allo ‘strangolamento’ della banca guidata da Dick Fuld a opera delle maggiori banche a stelle e strisce che le negarono l’accesso ai propri depositi presso di loro e ne determinarono quel fallimento che minacciò seriamente, nel successivo mese di ottobre del 2008, di determinare un default sistemico a livello planetario dei diversi soggetti protagonisti del mercato finanziario, un rischio talmente concreto da indurre i paesi del G20 ad assumere con inedita prontezza e determinazione misure realmente senza precedenti.
Non voglio assolutamente con questo dire che Goldman Sachs sia rimasta l’unica entità a operare nel cosiddetto mercato delle scommesse, ma certamente che non deve più guardarsi le spalle da tre delle quattro concorrenti aventi l’expertise e lo standing per rendere meno certo l’esito delle sue mosse, una circostanza che è ulteriormente rafforzata dal fatto che Morgan Stanley, l’unica delle ex Big Five statunitensi sopravvissuta insieme a Goldman, sembra oramai muoversi esclusivamente sulla scia della sua maggiore concorrente, che, a sua volta, non sembra preoccuparsi troppo dell’operatività delle banche universali a vocazione più o meno globale, troppo occupate a pulire i propri bilanci e troppo timorose delle reazioni dei propri non più docili azionisti per lanciarsi in scommesse più o meno azzardate!
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Se davvero la principale fonte di guadagni dei senior e junior partners di Goldman Sachs proviene dall’attività consistente nello scommettere sugli andamenti futuri di prezzi,indici, tassi e valute, è molto importante capire quanto le stesse abbiano le caratteristiche delle self fulfilling prophecies, cioè delle cosiddette profezie auto realizzantesi, che, a loro volta, sono rese possibili dalla forma che assume il mercato in cui si opera, dalla quantità e dal livello di informazioni di cui si dispone, dall’esperienza e preparazione delle persone direttamente impegnate, dalla qualità e dalla affidabilità del sistema informativo e operativo, nonché, the last but not the least dalle dimensioni e dal comportamento degli altri operatori.
Non è un mistero per nessuno che Goldman possiede, e alla grande, delle quattro condizioni esposte di sopra, così come correlativamente gode di una tale fama da indurre i competitors, che rappresentano la quinta condizione, ad assumere, nella maggior parte dei casi, un atteggiamento cooperativo e non di contrasto, una fattispecie comportamentale particolarmente visibile nel mercato delle materie prime energetiche, con particolare riferimento a quello dove si determinano i prezzi presenti e futuri del greggio.
Dopo essere stata negata se non addirittura irrisa per decenni dai paesi produttori, dalle compagnie petrolifere e dai maggiori esperti del settore, la tesi che vede una larga prevalenza della componente speculativa nella determinazione del prezzo del petrolio è ora accettata e sostenuta proprio da coloro che così ostinatamente negavano che il prezzo fosse determinato da qualcosa di diverso dalla domanda e dalla offerta di questa importante materia prima, domanda e offerta a loro volta strettamente connesse alle diverse fasi del ciclo economico, anche se sulla base di un tasso di elasticità significativamente ridottosi a causa delle modificazioni strutturali intervenute nelle economie dei paesi maggiormente industrializzati negli oltre tre decenni trascorsi dal primo shock petrolifero.
Ma quanto è avvenuto tra il dicembre del 2007 e il luglio del 2008, quando, in piena tempesta perfetta e mentre il prodotto interno lordo statunitense iniziava a dare sempre più evidenti segnali di frenata, il prezzo del greggio infranse rapidamente tutti i record per poi portarsi al massimo storico di 147 dollari al barile, ha definitivamente chiarito come bastasse che tutti credessero possibile l’obiettivo dei 200 dollari entro la fine di quell’anno sostenuta dagli analisti di Goldman e rafforzata dalle previsioni miste ai desideri del numero uno della russa Gazprom per abbattere come birilli posti in fila i vari livelli un tempo giudicati inviolabili, una nuova corsa all’oro che vide in scia alle banche più o meno globali una massa sterminati di investitori più o meno istituzionali, tra i quali si distinsero anche molti fondi pensione, come il famoso Calpers, con la differenza che Goldman e le sue dirette concorrenti girarono per tempo le proprie posizioni, mentre la maggior parte degli altri investitori restarono intrappolati nella successiva discesa verticale dei prezzi del greggio innescata dalla reazione dei paesi produttori, Arabia Saudita in testa.
Ma quello che è accaduto tra la seconda metà del mese di marzo e la prima metà di quello di giugno dell’anno in corso, è stato davvero ancora più clamoroso, in quanto il quasi raddoppio del prezzo del greggio è intervenuto quando erano già noti i crolli dei PIL nel primo trimestre sia la di qua che al di là dell’Oceano Atlantico e mentre si assisteva alla bruschissima frenata della crescita di Cina, India e dintorni, ma quel movimento al rialzo del prezzo del greggio era davvero indispensabile perché si potesse realizzare quella altrettanto incredibile corsa dell’orso sui mercati azionari!
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Per avere un’idea vaga dei profitti derivanti dalle scommesse effettuate sui rialzi dei listini azionari verificatisi tra la metà di marzo e la metà di giugno dell’anno in corso, basta dare una scorsa ai grafici delle principali entità creditizie basate negli Stati Uniti d’America, a proposito dei quali mi limito a citare il passaggio dai 97 centesimi ai poco meno di 4 dollari nel caso di Citigroup o la poco meno che sestuplicazione dell’azione di Bank of America dal minimo di 2,50 ai qualcosa di più di 14 dollari, rialzi che traevano forza proprio dal segnale anticipatore della ripresa proveniente dal mercato delle materie prime energetiche, quello stesso segnale che ha fatto straparlare dei cosiddetti germogli verdi.
Comprendo pienamente l’imbarazzo dell’addetto stampa del nuovo inquilino della Casa Bianca di fronte alle domande sui successi di Goldman Sachs rivoltegli nel giorno in cui sono stati pubblicati i risultati del secondo trimestre, così come quello che avrebbe provato Obama se le stesse domanda gli fossero state fatte personalmente, in quanto buona parte di quei successi sono stati ottenuti esattamente con i metodi da lui, nonché dai suoi omologhi di Francia e Germania, fortemente censurati e da lui stesso indicati come una, se non la principale, delle cause che ci hanno condotti dritti, dritti nel meltdown finanziario ed economico attuale.
Il presidente dell’organismo incaricato di vigilare sugli strumenti derivati utilizzati per determinare i prezzi attuali e futuri delle derrate agricole ha appena dati il via a una serie di audizioni per capire se è il caso di estendere quei meccanismi di controllo che inchiodarono lo scomparso Raul Gardini per la sua operatività sulla soia anche ai futures e agli altri strumenti relativi al petrolio e alle altre materie prime energetiche, un ciclo di audizioni che durerà almeno due mesi e al termine del quale forse avremo la possibilità di capire se la nuova amministrazione intende realmente spuntare le unghie alla speculazione, un’eventualità nella quale ripongo ben poche speranze, ma che credo sarà molto legata al livello di pressione proveniente dall’opinione pubblica.
Non vi è dubbio che Goldman disponga di tutte le condizioni che rendono possibile operare con successo nel mercato delle scommesse, condizioni che ho sommariamente indicato nella puntata precedente, in quanto non solo dispone dei migliori specialisti e della migliore strumentazione disponibili, ma è anche dotata di sistemi, procedure e informazioni, tutti elementi sui quali vigilano i due Chief Operating Officer dei quali si è molto opportunamente dotata, ma è altrettanto certo che, oltre a queste condizioni indispensabili, Goldman Sachs dispone di un fattore di successo aggiuntivo che coincide nella rete di relazioni di alto e altissimo livello che le viene universalmente riconosciuto, una rete di relazioni forse unica al mondo e che viene coltivata con la massima attenzione e cura.
Non è, peraltro, un mistero per nessuno il fatto che un grande numero di persone che si sono formate e sono cresciute professionalmente in Goldman abbiano successivamente ricoperto importanti incarichi sia nel settore pubblico che in quello privato, così come è altrettanto noto che numerosi esponenti di primo piano della politica a stelle e strisce o di quella operante nei cinque continenti siano poi stati arruolati, senza i cento colloqui riservati ai normali candidati all’assunzione, a livelli più o meno elevati della banca, alcuni con contratti prevedenti l’impegno a tempo pieno, mentre ad altri sono stati riservati più o meno dorati contratti di consulenza, un sistema che ha reso quelle di Goldman Sachs delle porte girevoli dalle quali una parte dei potenti del pianeta entra e esce abitualmente e che rende elevatissima la qualità delle informazioni.
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La vasta e fittissima rete di relazioni intessuta negli ultimi decenni da Goldman Sachs nei cinque continenti ha raggiunto negli ultimi tempi dimensioni inedite e tali da consentirle, forse unico caso tra le pur potentissime multinazionali della finanza e dell’industria, una capacità di influenza tale da non rendere del tutto ipotetica o fantasiosa l’idea che sia finita per essere una sorta di luogo di compensazione di interessi tra di loro apparentemente contraddittori, così come si presta a essere un’istituzione molto più efficace e rapida nel suo agire di consessi quali la commissione trilaterale o il gruppo Bildberg che, al confronto, finiscono per assomigliare di più a raduni di ex alunni di scuole prestigiose ed esclusive che a quella sorta di governo planetario cui vorrebbero più o meno dichiaratamente assomigliare.
Per fare qualche piccolo esempio della capacità che la banca statunitense ha di condizionare o, quanto meno, di influenzare le scelte dei governi e delle autorità monetarie in patria e altrove nel mondo, mi soffermerò brevemente sul caso italiano, sulla rete di riferimento di Goldman negli USA nei poco meno di due anni trascorsi dall’avvio della tempesta perfetta e nella davvero emblematica vicenda del salvataggio della AIG, chiarendo sin d’ora che si tratta solo di squarci, a volte casuali, di un velo molto fitto che avvolge l’operatività complessiva della banca.
Per quanto riguarda l’Italia, non è un mistero l’attribuzione di una consulenza prima a Romano Prodi e poi a Gianni Letta, in entrambi i casi quando i due erano liberi da impegni di Governo, mentre ancora più emblematica è la parentesi svolta da Mario Draghi al vertice della presenza di Goldman in Europa e nel comitato esecutivo globale della banca, una parentesi che si è collocata tra la fine del suo impegno decennale come Direttore Generale del ministero del Tesoro con delega sulle privatizzazioni e che si è conclusa con la sua nomina a Governatore della Banca d’Italia e alla successiva assunzione della guida di quel Financial Stability Forum, poi allargatosi e trasformatosi in Financial Stability Group, cui è stata affidata dal G8 e dal G20 la riscrittura delle regole da applicare alla finanza globale, ma è altrettanto nota la presenza diretta o in via consulenziale di uomini Goldman sia nei governi presieduti da Prodi che in quelli guidati da Berlusconi.
Per dare un’idea della presenza di Goldman nell’amministrazione USA, anche in questo caso senza differenza alcuna tra amministrazioni democratiche e repubblicane, non basterebbe un libro, per cui mi limiterò a citare il caso degli ex ministri del Tesoro Robert Rubin e Hank Paulson (nonché di tre dei quattro vice di quest’ultimo), dell’ex presidente del New York Stock Exchange e poi esecutore testamentario di Merrill Lynch, John Thain, così come non si contano gli ex uomini di vertice di Goldman passati a guidare le principali banche e compagnie di assicurazione statunitensi o alla guida delle presenze statunitensi di banche e compagnie di assicurazioni basate altrove.
Mentre nulla si sa di come trascorra le sue giornate il ‘soldato’ Paulson dopo la fine del suo intensissimo impegno al vertice del dicastero del Tesoro, molto si discute sulla sua decisione di porre al vertice della di fatto nazionalizzata AIG Edward Liddy, un uomo che ha percorso quasi tutti i gradini della scala gerarchica in Goldman Sachs e che da poco si godeva una meritata pensione dopo aver guidato una compagnia di assicurazione e che non ha potuto esimersi dall’accettare la richiesta pressante di Hank in cambio di uno stipendio da un dollaro l’anno, ma che già sta meditando l’uscita dopo aver garantito in poche settimane il rimborso pressoché integrale in favore delle banche statunitensi e straniere, Goldman ovviamente in testa, che hanno ricevuto buona parte dei 180 miliardi di dollari ricevuti da quel TARP fortemente voluto dallo stesso Paulson.