mercoledì 17 agosto 2016

I guai della Brexit per i britannici


Come ho scritto in una puntata del Diario della crisi finanziaria di qualche tempo fa, sono stato nel cuore dell'Inghilterra post industriale pochi giorni dopo la vittoria del leave all'Unione europea, una vittoria non di larghissima misura ma anche un po' inaspettata e in buona parte spiegata dall'incredibile astensionismo dei giovani (hanno votato il 36 per cento degli aventi diritto di questa classe di età) che tutti i sondaggi di tipo stratificato per età davano per il remain con buona percentuale di distacco, ma questa ormai è storia e ne parlo solo per ricordare che mi è capitato allora di vedere numerosi edifici sui quali era riportata la bandiera della UE e una scritta che ricordava che erano stati realizzati grazie a finanziamenti provenienti da Bruxelles.

Ebbene, pochi giorni fa uno dei neo ministri della premier May si è premurato di rassicurare i sudditi di Sua Maestà britannica, che non si è mai espressa sul quesito ma che ha compiuto una serie di piccoli gesti che hanno convinto tutti che non fosse proprio una euro entusiasta, che lo Stato avrebbe garantito i finanziamenti un tempo provenienti da Bruxelles fino al 2020 e che gli stessi sono pari a 4,5 miliardi di sterline l'anno, una cifra che, visti i continui bracci di ferro britannici sui contributi al budget comunitario, superano, come affermato da molti nel corso della accesa campagna referendaria, quanto versato ogni anno a Bruxelles, così come è evidente che il Tesoro britannico non potrà fabbricare questa cifra, pari a poco meno di venti miliardi di sterline nel periodo considerato, e la stessa dovrà provenire da tagli alle spese o da aumenti delle imposte, esattamente quello che, prima del voto, aveva affermato il precedente responsabile dell'economia nel gabinetto di David Cameron,  Osborne, un ministro che parlava di un buco da coprire di 30 miliardi di sterline includendo anche altri e pesanti effetti sull'economia derivanti da quella che allora era solo un'ipotetica scelta degli elettori  britannici.

Non voglio infierire sulle bugie raccontate in campagna elettorale da Nigel Farage, Boris Jhonson e compagnia cantante, bugie smentite poi all'indomani del voto da loro stessi, con siparietti con giornalisti esterrefatti per l'impudenza di questi politici, uno dei quali si è dimesso, mentre l'altro è ministro degli Esteri della May e attualmente primo ministro facente funzioni per l'assenza per ferie della May e lo sarà anche in prospettiva ogni volta che la premier sarà assente, ma quello che è certo è che la marea montante del populismo, spesso condito da balle in economia e da razzismo in politica, non abita solo nel Continente europeo, ma è forte e tanto anche nelle isole britanniche, ma quello che è certo è che il conto di queste bugie e di queste vere e proprie manipolazioni dell'opinione pubblica lo pagheranno di tasca propria i contribuenti britannici e tutti i percettori di un sistema di welfare che già presenta un deficit previdenziale ammontante ad una cifra stratosferica, il tutto al netto di un referendum già annunciato dalla Scozia e di analoghe mosse che potrebbero riguardare l'Irlanda del Nord e il Galles con effetti altrettanto devastanti sul bilancio nazionale.

D'altra parte, il Governatore della Bank of England ha già annunciato che il prodotto interno lordo nel 2017 si porterà allo zero virgola qualcosa da una velocità di crescita al primo semestre del 2016 del 2,2 per cento, una flessione che peserà e non poco sul bilancio, così come il prezzo del petrolio che non riesce nemmeno a rivedere la soglia dei 50 dollari al barile farà inesorabilmente la sua parte su quella che negli scorsi decenni è stata, insieme alla finanza, la vera risorsa nazionale. Gli economisti utilizzano spesso una misura grossolana ma efficace per misurare il potere reale di acquisto nei diversi paesi ed è rappresentata dal prezzo del Big Mac ma nel Regno Unito questo indicatore è sostituito dal prezzo della pinta di birra e questo è già schizzato fino alle 3 sterline dalle 2 di pochi anni fa, ma il problema è che il tracollo della sterlina minaccia ulteriori rincari per la birra di importazione ed è così che l'associazione di categoria dei proprietari di pub ci informa che ogni settimana chiudono 11 esercizi di questo tipo con i britannici sempre più costretti a comprare la birra al supermercato e bersela in solitudine a casa e dire che erano stati proprio i pub i luoghi dove è maturata la vittoria del leave!

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