sabato 13 agosto 2016

Fuga di capitali e sciopero degli investimenti alla base della frenata del PIL


Il Governo italiano, per bocca del suo ministro dell'Economia, ha dichiarato venerdì di non essere rimasto sorpreso della crescita zero su base congiunturale del prodotto interno lordo nel secondo trimestre di quest'anno di disgrazia 2016, un dato secondo Piercarlo Padoan atteso e questo appare veritiero sulla base dei dati parziali che si sono susseguiti nei mesi scorsi e che indicavano un rallentamento della crescita dopo i dati incoraggianti del primo quarto dell'anno, dati che vedevano segnali negativi dalla produzione industriale e dagli ordinativi, nonché un rallentamento dell'export che è determinato da un lato dalla debole domanda mondiale, Cina in primis, ma che è anche il risultato della pervicace volontà della Commissione europea che continua a non sanzionare la Germania per il non rispetto, da sei anni almeno, della norma europea che prevede che un paese membro non possa superare per più di tre anni consecutivi il limite del 6 per cento dell'avanzo commerciale in rapporto del PIL e, grazie anche grazie a questa tolleranza, l'avanzo si è portato lo scorso anno all'8 per cento del PIL.

Ma tutto questo, ovviamente, non giustifica l'arresto della crescita in Italia dopo anni di decrescita e dopo qualche trimestre con segno più, seppure sempre a livello di zero virgola, perché il problema è che scontiamo un dato strutturale che risiede non tanto nella scarsa propensione al consumo degli italiani, peraltro ormai stremati da un'operazione mal gestita di cambio dell'euro a un rapporto di cambio estremamente debole e dall'assoluto non controllo dei prezzi successivo al cambio di valuta, ma piuttosto da un comportamento in verità decennale di una vasta parte della nostra classe imprenditoriale che ha portato le proprie aziende in bancarotta per i crediti con le banche, con il fisco e con l'INPS e i propri capitali all'estero, una fuga peraltro premiata dai vari provvedimenti di sanatoria, su base anonima, approvati dai Governi di ogni colore in cambio di percentuali irrisorie applicate per la regolarizzazione, spesso tombale, di quello che era è resta un reato penale, incentivando così chi non lo aveva fatto ad imitare tale comportamento che, a differenza degli altri grandi paesi membri dell'Unione europea, viene visto dalla maggioranza degli italiani, così come accade per l'evasione fiscale e contributiva, un peccato veniale se non un comportamento addirittura virtuoso.

Nelle numerose puntate che hanno composto il breve saggio intitolato le conseguenze economiche di Silvio Berlusconi ho illustrato con dovizia di dati questi comportamenti incoraggiati e blanditi dai numerosi suoi governi, ma il problema è che un paese che ha circa quattro milioni di imprenditori e lavoratori autonomi, più del doppio di Germania e Francia messi assieme, ha difficoltà, ammesso che ve ne sia la volontà di contrastarli e solo da pochissimi anni sembra che ci sia resi conto della gravità sistemica della questione.

Farò un caso concreto per dimostrare quanto questi comportamenti possano essere deleteri e il caso del Nord Est in generale e del Veneto in particolare credo davvero che siano esemplari con le numerosissime aziende di piccole e medie dimensioni spuntate come funghi tra le villette abitate dai proprietari e che grazie alle continue svalutazioni della lira hanno invaso i mercati con i loro prodotti grazie anche ai generosi prestiti delle banche della regione, un miracolo che, con l'introduzione dell'euro, è entrato in crisi e che ha mandato a gambe all'aria numerose banche dell'area salvate a suon di miliardi dal Fondo Atlante e dall'istituto centrale delle BCC, il tutto mentre le aziende chiudevano una dopo l'altro e i profitti dei decenni d'oro stavano tranquillamente in Svizzera, in Lussemburgo, alle Cayman e negli altri paradisi fiscali!

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