venerdì 9 dicembre 2016

Is globalization over?


Quando ho scritto questa puntata del Diario della crisi finanziaria non si era ancora abbattuto sull'orbe terraqueo il ciclone di Donald Trump, con una vittoria alle presidenziali statunitensi che non molti avevano previsto, ma che vede nella lotta senza quartiere alla globalizzazione uno dei punti forti del suo programma e un punto che si è ripromesso di realizzare nei primi cento giorni della sua attività da quarantacinquesimo presidente degli Stati Uniti d'America e credo che lo smantellamento del NAFTA sarà una delle prime sue mosse, con l'introduzione di dazi nei confronti delle merci messicane e canadesi a meno che lo stuolo di consiglieri a libro paga lo inducano a più miti consigli, d'altra parte, questo è il vero Muro che Donald ha in mente e che gli ha assicurato la vittoria in quegli Stati industriali che gli hanno garantito la vittoria a novembre.

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Nell'unico intervento pubblico che ho fatto sulla genesi della Tempesta Perfetta, nell'ambito di un convegno svoltosi al Residence Ripetta di Roma il 19 marzo del 2008 e che vedeva come altri relatori i professori Luigi Spaventa, Paolo Leon ed Elsa Fornero, vedevo nella deregolamentazione selvaggia delle norme abbastanza chiare che vigevano nei mercati finanziari fino al 1975 una delle cause principali dello scoppio della più grave crisi finanziaria mai registratasi sin dalla fine del secondo conflitto mondiale, una crisi ampliatasi a dismisura attraverso l'altro fenomeno che ha caratterizzato l'ultimo scorcio del secolo scorso e che si è poi ampliato nei primi quindici anni del secolo in corso e che è rappresentato dalla globalizzazione, un fenomeno da molti visto come salvifico ma che ha colpito duramente i lavoratori dei paesi maggiormente industrializzati, ha di fatto abbattuto i dazi, mettendo in totale concorrenza merci e servizi prodotti da paesi con condizioni molto diverse tra di loro, abbattendo al contempo quasi ogni forma di barriera ai movimenti di capitali.

Anche i più ferventi sostenitori della deregolamentazione dei servizi finanziari e della libera circolazione dei capitali a livello planetario hanno dovuto riconoscere che l'estrema instabilità esistente ancora oggi nei mercati finanziari, e qui non faccio distinzioni tra azionario, obbligazionario valute (incluso il clamoroso crollo di oltre il 6 per cento in pochi minuti avvenuto due giorni fa ad Hong Kong mentre i cittadini del paese che adotta questa antica valuta dormivano profondamente) e materie prime, oro e petrolio in primis, un'instabilità che ha fatto dire ieri, in margine ai lavori del Fondo Monetario Internazionale e della Banca Mondiale, all'arcigno e molto misurato nelle parole ministro delle finanze tedesco, Wolfgang Schauble, che oramai non è possibile escludere lo scoppio di una nuova crisi finanziaria globale, anche se esperti e politici sono restii a riconoscere che la crisi di fatto non è mai terminata, anche perché, dopo le prime due devastanti ondate della tempesta perfetta (2007/2010 e 2011/2015), dall'inizio di quest'anno di disgrazia 2016, siamo nel pieno della terza ondata che ha già fatto scoppiare più di una bolla speculativa, in particolare nel settore bancario a livello globale e in quello delle materie prime energetiche.

Di fatto, a partire dagli anni Ottanta, negli Stati Uniti d'America, ma anche in Gran Bretagna e in altri paesi dell'Occidente industrializzato, vennero meno le barriere tra le banche di investimento e le banche commerciali, purché in queste ultime venissero ben delineati i confini tra il landing e l'investment banking, una distinzione che vide la nascita di specifiche divisioni denominate CIB (Corporate and Investment Banking) che si dotarono presto di proprie fabbriche prodotto con alla guida una schiera di apprendisti stregoni che, grazie alla consulenza remunerata delle stesse società di racing chiamate poi a fornire la valutazione dei prodotti stessi, valutazione che molto spesso era di tripla A, escogitarono titoli della finanza strutturata sempre più complessi che vennero poi vendita banche più piccole, a investitori istituzionali e al  pubblico desideroso di rendimenti più elevati e che considerava questi titoli sicuri come i Treasury Bonds, visto il racing massimo che li caratterizzava.

Ma da dove veniva la materia prima con la quale si costruivano questi titoli poi ignominiosamente e in breve tempo finiti per essere totalmente illiquidi e senza prezzo, al punto di essere classificati come di categoria 3 e cioè del tutto tossici)? Venivano da una categoria di intermediari, vere e proprie finanziarie, che aprivano questi mutui residenziali piuttosto che finanziamenti per credito al consumo o per l'acquisto dell'automobile,  ne facevano dei pacchetti che vendevano alle banche che poi li rimpacchettavano a loro volta, tenendoseli o, come si è detto, cedendoli a terzi, finanziarie che sono tutte o in larghissima parte fallite impedendo alle banche acquirenti di poter far valere la clausola che avrebbe costretto le finanziarie a riacquistare i finanziamenti ceduti.

Se fossero state ancora in vigore le regole antecedenti alla deregolamentazione, le finanziarie avrebbero avuto come unico sbocco le molto smaliziate banche d'investimento, ossia le Big Five, Goldman Sachs, Merrill Lynch, Bear Stearns, Lehman Brothers e Morgan Stanley, che però, per le loro logiche di diversificazione, non avrebbero rappresentato uno sbocco sufficiente per il volume immenso di questi titoli, ma che rimasero comunque scottate al punto che una di loro fallì e le altre vennero, ad eccezione ovviamente di Goldman, rilevante da banche globali.

Questa in pochissime parole è la storia della genesi della Tempesta Perfetta, un fenomeno talmente devastante che diede luogo alla più rilevante riregolamentazione della storia ad opera del gruppo di lavoro coordinato e diretto da Mario Draghi, ma è evidente che senza il concomitante fenomeno della globalizzazione che ha avuto il suo apogeo con la nascita della World Trade Organization, vero crocevia e regolatore di dispute tra i vari paesi, ma anche qui si sta iniziando ad andare in direzione opposta con la crescita esponenziale dei ricorsi per vero o presunto dumping, mentre sembra destinata ad andare alle calende greche l'accoglimento della richiesta della Cina di essere considerata a tutti gli effetti economia di mercato!

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