Non appartengo alla schiera dei previsori e/commentatori che si affezionano alle proprie idee al punto da non vedere quello di diverso che accade nella realtà e la decisione dell'Organizzazione dei paesi petroliferi presa l'altro ieri a Vienna è una di quelle "carte selvagge" che possono cambiare, supply side, l'andamento del mercato del petrolio, anche perché, agli 1,2 milioni di barili al giorno di riduzione dell'offerta per sei mesi, da gennaio aa giugno compreso, da parte dei paesi membri dell'organizzazione, si affiancano 600 mila barili, sempre al giorno, di tagli effettuati dalla Russia e da altri paesi produttori non appartenenti all'OPEC, un accodo che risparmia l'Iran che chiede giustamente di tornare al livello precedente alle sanzioni da poco eliminate, mentre si è giunti alla decisione di espellere l'Indonesia che si è dichiarata indisponibile per ragioni di politica interna a ridurre la propria produzione di greggio (che ora è libera di incrementare la produzione approfittando dei prezzi aumentati).
La risposta dei mercati è stata immediata e sia l'europeo Brent che lo statunitense WTI sono cresciuti del 9 per cento nel future attualmente in trattazione, mentre un sospiro di sollievo è stato tratto dai produttori statunitensi dello shell oil che avevano rallentato o bloccato la produzione di questo greggio dai costi di estrazione molto costosi e che diventa profittevole solo a prezzi al barile molto più elevati di quelli attuali e che vedrebbero con estremo favore prezzi compresi in una forchetta 60-70 dollari al barile.
Certo, un taglio di 1,8 milioni di barili di greggio al giorno, una cifra che rappresenta quasi il 2 per cento dell'output giornaliero di petrolio, è quasi equivalente al gap che oggi esiste tra offerta e domanda, un gap che non ha determinato ancor più drastici cali del prezzo al barile solo per la vischiosità e la poca trasparenza di questo immenso mercato, ma quello che viene da chiedersi a 43 anni dal primo shock petrolifero è se qualcosa non sia cambiato negli aggiustamenti della domanda di greggio ad un approccio aggressivo supply side come quello appena deliberato dall'OPEC e la risposta è positiva, in quanto i paesi importatori hanno fatto in questi decenni enormi investimenti in risparmi energetici e sviluppo di fonti alternative che hanno reso molto più elastica la domanda di fronte alle "prepotenze" dal lato dell'offerta, ma tutto questo si vedrà solo quando si sarà diradato il polverone mosso dalle tigri un po' ammaccate riunitesi, dopo parecchi mesi di annunci non proprio concordi tra di loro.
In tutto questo bailamme, vi è un vincitore indiscusso ed è il presidente venezuelano Maduro, un uomo sull'orlo della peggiore catastrofe economica e sociale e con oltre metà del Paese contro, ma che ora potrà ruprendere a finanziare il modello inventato dal suo predecessore, il defunto Hugo Chavez, golpista con chiare simpatie castriste, un modello che consisteva nel finanziare apertamente il blocco sociale che lo sosteneva, cosa che in questi ultimi anni è stata così difficile al suo successore, letteralmente massacrato dai continui cali del prezzo del greggio.
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