Non sono mancati quanti hanno visto nel prolungato black out della Borsa di Milano di martedì un goffo tentativo di contenere la frana dei titoli di società legate alla crisi libica, tonfi davvero sonori nella seduta di lunedì e che la sospensione di quasi cinque ore ha ridotto nell’entità, riducendosi l’operatività a poco più che le aste di chiusura, un’opinione, questa, che mi sento francamente di condividere.
Tra le numerose entità colpite, vi è anche Unicredit Group che vede una presenza libica nel suo azionariato pari al 7,5 per cento, una percentuale che colloca i libici come primi azionisti di un gruppo bancario di grandi dimensioni e che ha perso il suo amministratore delegato, l’ex enfante prodige della finanza italiana, Alessandro Profumo, proprio per non essersi opposto all’ingresso in forze dei libici nell’azionariato in funzione antagonista a quelle fondazioni bancarie, come Cariverona, che sino a quel momento facevano il bello e il cattivo tempo in Unicredit.
Certo, in un momento che vede la Libia in piena guerra civile e con un numero di morti multipli di quelli che ci sono stati in Tunisia e in Egitto non sembra pertinente occuparsi del futuro di un gruppo bancario per quanto importante come Unicredit, tuttavia non si può neanche sorvolare su un problema che va a sommarsi a quelli che da tempo affliggono il gruppo quali la scarsa redditività, la grana dei derivati e i rischi connessi alla presenza nei paesi dell’Europa dell’est, per limitarci solo a quelli principali.