Alla presenza di due immense delegazioni, si è aperto ieri il confronto in terra statunitense tra gli Stati Uniti d’America e la Repubblica Popolare Cinese sulle questioni bilaterali, un confronto che verte sostanzialmente sulla disattesa richiesta americana di un sostanziosa rivalutazione della valuta cinese che, secondo i sempre più agguerriti esportatori statunitensi, dovrebbe essere nell’ordine del 40 per cento.
La delegazione americana è guidata dal segretario al Tesoro, Timothy Geithner e dal responsabile del Dipartimento di Stato, Hillary Rhodam Clinton ed è formata dai rappresentanti di venti agenzie federali, mentre quella cinese è capeggiata dal vice primo ministro, il nome non lo dico tanto lo scordereste un attimo dopo, e da un numero di rappresentanti di organismi governativi pari in numero a quelli statunitensi.
Se gli stati Uniti sono molto interessati alla rivalutazione della valuta cinese, ai rappresentanti di Pechino preme molto sapere cosa accadrà al tetto all’indebitamento statunitense che, secondo il ministro del Tesoro deve essere innalzato dall’attuale livello di 14,3 trilioni di dollari pena il default, una prospettiva che rischierebbe di far valere molto meno l’immenso stock di titoli USA nelle mani dei cinesi e che potrebbe indurli ad alleggerire la loro posizione con effetti disastrosi sui corsi dei titoli statunitensi.