La crisi del debito di alcuni paesi dell’area euro sta determinando un cambiamento di visione al di qua e al di là dell’Oceano Atlantico, con cali degli indici azionari che si mischiano con un calo di oltre il 10 per cento del prezzo del greggio passato da oltre 114 dollari al barile a qualcosa meno di 100, una flessione determinata sia delle esagerazioni precedenti dettate dalla speculazione sia dalle crescente sensazione che la crescita statunitense sia meno forte del previsto.
In tutto questo vi è stato un apprezzamento dell’1 per cento del dollaro nei confronti delle altre principali, un apprezzamento che non tiene conto dei problemi del debito anche in casa statunitense con un rapporto tra il deficit e il prodotto interno lordo vicino al 10 per cento e un debito pubblico che si avvicina al tetto fissato a 14,3 trilioni di dollari, un tetto che, secondo il ministro del Tesoro statunitense, sarà toccato e superato all’inizio di agosto.
Come dicevo in una precedente puntata del Diario della crisi finanziaria, la crisi finanziaria è sostanzialmente una crisi del debito, aggravata dalle malefatte della finanza strutturata, è le prossime settimane e i prossimi mesi ci diranno se si aggraverà la tempesta perfetta iniziata quattro anni e nove mesi fa.