martedì 6 gennaio 2009

Basteranno i 15 mila miliardi di dollari impegnati a livello globale per far cessare la tempesta perfetta?


Con l’acquisto di titoli della finanza strutturata legati a mutui residenziali garantiti da Fannie Mae, Freddie Mac e Ginnie Mae per un controvalore di 5 miliardi di dollari, la Federal Reserve completa la sua trasformazione in prestatore di ultima istanza in senso lato del mercato finanziario, un processo che era iniziato con l’apertura dell’immensa discarica a cielo aperto per titoli della finanza più o meno strutturata provvidenzialmente, per le banche almeno, avviata dalla Fed di New York, con l’adozione di un approccio molto attivo nella sistemazione di banche più o meno tecnicamente fallite, per giungere a porsi come acquirente di una parte rilevante di quelle Commercial Papers emesse da corporations statunitensi di ogni ordine e grado che era sempre più difficile collocare.

Come ci informa il Wall Street Journal, sempre più il vero giornale di bordo della tempesta perfetta, l’operazione annunciata lunedì in tarda serata è solo la prima di una lunga serie, in quanto è previsto un impegno finanziario di complessivi 500 miliardi di dollari che consentirà di rastrellare una porzione significativi di titoli garantiti dalle tre entità nazionalizzate che coprono poco meno del 50 per cento dell’immenso settore del mortgage statunitense e che favorirà quel processo di rinegoziazione dei mutui che rappresenta l’unica chance per evitare un’ondata di espropri di case addirittura superiore al record registrato nel 2008.

Nel frattempo, Hank Paulson non ha voluto assolutamente mostrarsi meno attivo di Bernspan e ha iniettato altri 15 miliardi di dollari in sette banche, concentrando però buona parte di questa somma in favore di PNC Financial Services Group, 7,6 miliardi di dollari, e di Fifth Third Bancorp, 3,4 miliardi, in quanto si tratta di due banche che si sono di recente fatte carico di due banche tecnicamente fallite, la National City Corp di Clevaland nel caso di PNC e Freedom Bank in quello di Fifth Third Bancorp, un’ottima applicazione del principio aiutati che Dio ti aiuta.

Con l’ultima operazione annunciata, Paulson ha speso 187,5 miliardi di dollari in favore di 215 banche, ma ne ha, in realtà, sborsati complessivamente 257, in parte ancora a favore di banche già beneficiate dalla prima tranche di erogazioni effettuata in ottobre e degli importi minori erogati nel successivo mese di novembre, 40 miliardi in favore della prima compagnia di assicurazione, AIG, oltre 10 miliardi, infine, in favore del disastrato settore automobilistico, ma il problema vero e che, a fronte dei 257 miliardi di dollari effettivamente spesi, ne ha impegnati 348,4 di miliardi, il che, almeno, non gli lascia, nei suoi ultimi giorni come ministro del Tesoro, ulteriori possibilità di impegno se non per i residui 1,6 miliardi della prima tranche del TARP, poca roba ma che, siatene certi, impiegherà sino all’ultimo centesimo, piuttosto che lasciare qualcosa in più del previsto al suo successore, Timothy Geithner, attualmente, in qualità di presidente della Fed di New York, responsabile della succitata e oramai stracolma discarica di titoli più o meno tossici della finanza strutturata.

Non deve trarre in inganno l’ampio numero di banche beneficiate, in quanto la sola Citigroup ha ricevuto la bellezza di 45 miliardi di dollari, 25 dei quali le sono stati conferiti all’inizio dell’operatività del TARP, al pari di Wells Fargo e J.P. Morgan-Chase, mentre gli altri 20 li ha ricevuti successivamente, accettando di sottostare ad ulteriori e più stringenti condizioni rispetto alle tre consorelle, mentre importi appena più modesti sono stati elargiti a Bank of America e alle due ultime appartenenti alle Big Five che ancora agiscono indipendentemente, la ‘sua’ Goldman Sachs e Morgan Stanley, oramai ex Investment Banks.

Come è quindi facile osservare, tolte le sei entità appartenenti al gruppo di testa del sistema bancario a stelle e strisce e un ristretto numero di banche che si sono accollate banche in procinto di fallire o già in carico alla Federal Deposit Insurance Corporation, alle altre 200 banche non sono rimasti che gli spiccioli.

Il sito finanziario della CNN pubblica un’interessantissima tabella dalla quale si apprende che la Federal Reserve, il Tesoro e altre entità federali hanno già effettivamente speso 2.700 miliardi di dollari, ma hanno impegnato la stratosferica somma di 7.200 miliardi, il che lascia un rischio tutt’altro che remoto di ulteriore spesa sino a 4.500 miliardi di dollari e che non includono, per motivi più che ovvii, gli 800-1000 miliardi già annunciati dall’uomo che dal 20 gennaio risiederà alla Casa Bianca, il presidente eletto Barack Obama!

Non è, quindi, un caso se vi sia già chi azzarda che, alla fine della fiera, gli Stati Uniti d’America si troveranno a spendere 10.000 miliardi di dollari per evitare che la recessione in corso da oltre un anno si avviti su se stessa, avviando una recessione globale dalla durata difficilmente determinabile, ma certamente di una profondità non registrata dagli anni Trenta del secolo scorso.

A questa cifra stratosferica andrebbero aggiunti i poco meno di 5.000 miliardi di dollari già stanziati dai principali paesi dell’Unione Europea, dal Giappone, dalla Cina e da numerosi altri paesi del globo, anche se, al solo fine di pareggiare il credit crunch previsto in base alla semplice formula escogitata dal capo economista per gli USA di Goldman Sachs, Ian Hatzius, mancherebbe all’appello un cifra più o meno equivalente a quella già stanziata, mentre non va assolutamente dimenticato che il valore facciale dei titoli della finanza strutturata, incluse quelle vere e proprie armi di distruzione di massa rappresentate dai Credit Default Swaps, è almeno di sei volte superiore all’impegno finanziario senza precedenti messo in campo da tutte le nazioni del pianeta!

Ricordo che il video del mio intervento al convegno della UIL sulla crisi finanziaria è presente nella sezione video del sito dell’associazione Free Lance International Press all’indirizzo http://www.flipnews.org/ mentre gli atti del convegno sono esportabili dal sito http://www.uil.it/ nella sezione del dipartimento di politica economica.