Abbiamo appreso ieri che il principale responsabile di quello che ho più volte definito il male oscuro di Citigroup, l’ex Chairman e Chief Executive Officer del colosso creditizio dai piedi di argilla, Sandy Weill, ha deciso, non so quanto spontaneamente, di rinunciare da aprile ai costosissimi benefit dei quali era destinatario, un onere per la banca da milioni di dollari annui che includeva l’utilizzo dell’aereo privato, auto con autista, lussuoso ufficio, un appannaggio spettante a fronte di 45 giorni di lavoro, pensione aggiuntiva da 1,1 milioni di dollari, polizza sanitaria da 63 mila dollari e via elencando.
Per i più distratti tra i miei lettori, vorrei ricordare il ruolo assolutamente da protagonista svolto da Sandy nell’edificazione di Citigroup quale banca talmente universale da meritarsi l’epiteto di supermarket del credito, un vero e proprio mostro che venne edificato inglobando una banca d’investimenti, creando centinai di veicoli fuori bilancio, assorbendo la Travellers, creando una divisione di Corporate & Investment Banking dalle dimensioni gigantesche, gestendo i patrimoni dei ricchi in un numero di paesi di poco inferiore a quelli rappresentati nell’assemblea delle Nazioni Unite, sviluppando in modo estremamente aggressivo il credito al consumo, le carte di credito revolving e un numero di attività collaterali non so quanto conosciute nel dettaglio dagli stessi membri del Board of Directors.
Nonostante si sia ufficialmente ritirato da oltre una decade, Sandy è stato determinante nell’assunzione di quel ministro del Tesoro ed ex Goldman Sachs che, attraverso gli opportuni interventi di deregulation, aveva reso possibile l’edificazione del ‘modello Citigroup’, quel Robert Rubin che godrà, fino ad aprile anche lui, di una retribuzione da 60 milioni di dollari in qualità di presidente di un comitato più o meno strategico, ha letteralmente creato il suo successore, Chuck Prince III, e lo ha successivamente licenziato in tronco dopo un burrascoso colloquio nella tenda ipertecnologica di un principe saudita non proprio soddisfatto delle performance della banca di cui era allora il primo azionista, ha contribuito, insieme a Rubin, alla scelta del nuovo presidente e del nuovo Chief Executive Officer, un baronetto inglese il primo e l’ex capo della CIB, l’indiano Vikram Pandit, il secondo, tutte mosse che dimostrano efficacemente che restava lui il vero deus ex machina di Citi!
Fa piacere che il nuovo presidente Parsone e lo stesso Pandit abbiano deciso di mettere mano non solo alla ristrutturazione radicale del modello creato da Weill, ma anche di tagliare tutti i ponti con i protagonisti di quel passato, Bob e Sandy in primo luogo, di non attribuirsi alcun bonus e di rinunciare all’acquisto di un costoso aereo aziendale ordinato da Chuck nel 2005, ben due anni prima che scoppiasse la tempesta perfetta che dura oramai da oltre diciotto mesi, anche se credo che non sbaglino molto quanti descrivono lo stesso Pandit come un dead man walking, non fosse altro che per quanto deve avere combinato quando era a capo delle attività di corporate & investment banking e della ampia fabbrica prodotto che ne faceva parte.
E’ difficile non concordare con il nuovo presidente degli Stati Uniti d’America, quando, poco dopo aver firmato la legge che vieta le discriminazioni salariali basate sul genere, ha affermato ieri che la distribuzione di bonus per 18,4 miliardi di dollari agli strapagati inquilini dei grattacieli che ospitano i quartier generali delle banche di ogni ordine e grado statunitensi non è proprio una bella cosa quando le stesse sono destinatarie, in vario modo, di migliaia di miliardi di dollari dei contribuenti già molto preoccupati per il meldown immobiliare e finanziario in corso.
Non è certo un bello spettacolo proprio nel giorno in cui il dipartimento del lavoro decide di dire finalmente la verità e, cioè, che ai quasi cinque milioni di donne ed uomini americani destinatari degli assegni jobless claims, 588 mila solo nell’ultima settimana, vanno aggiunti quel milione e settecentomila che sono destinatari di sussidi stabilita da una recente legge approvata dal parlamento, il che porta il numero di persone che vivono solo grazie all’assistenza pubblica allo stratosferico numero di sei milioni e mezzo, a fronte degli undici milioni di disoccupati ufficiali e di quei milioni di cittadini che non risultano nelle statistiche in quanto appartenenti ai 2,2 milioni di detenuti, ai milioni di persone in semilibertà e allo stuolo di quanti hanno mai rinunciato a partecipare al mercato di lavoro di riserva.
Ho l’impressione che le dure parole del giovane presidente USA non resteranno inascoltate da un Congresso che, sia prima che dopo l’Election Day, non ha usato troppi riguardi nei confronti di quelli che, a torto o a ragione, riteneva i principali responsabili della tempesta perfetta, soprattutto quando i malcapitati erano chiamati a partecipare ad audizioni che sembravano spesso dei processi sommari nel corso dei quali gli ‘imputati’ erano al più in grado di balbettare qualche risposta e non apparivano certo quegli Dei dell’Olimpo bancario e assicurativo abituati a trattare i deputati e i senatori con sufficienza.
Non aiuta molto il fatto che, a onta delle centinaia di miliardi ricevuti tramite la dissennata gestione che il loro ex (?) collega Hank Paulson ha fatto della prima tranche del TARP o i circa 2 mila miliardi di dollari di titoli più o meno tossici della finanza strutturata che il sistema della riserva federale si è accollati, attraverso l’ampia discarica gestita dal presidente della Fed di New York e attuale ministro del Tesoro a stelle e strisce, Timothy Geithner, le impietose statistiche sull’erogazione del credito stanno lì a testimoniare che il flusso di finanziamenti all’economia in senso lato si sono ridotti di ben 47 miliardi di dollari, un calo che sarà anche ingeneroso, ma viene naturale mettere a confronto con i 18,4 miliardi di bonus ricevuti dai top manager bancari!
Ricordo che il video del mio intervento al convegno della UIL sulla crisi finanziaria è presente nella sezione video del sito dell’associazione Free Lance International Press all’indirizzo http://www.flipnews.org/ .