Il giuramento di Barack Obama quale quarantaquattresimo presidente degli Stati Uniti d’America ha richiamato la più grande folla che una cerimonia del genere ricordi, ma la giornata è stata anche funestata da un sonoro tonfo dei tre principali indici statunitensi, con flessioni come non se ne vedevano dallo scorso dicembre, mentre il sottoindice dei titoli finanziari ha registrato la peggiore perdita di sempre, con una flessione che ha sfiorato il 17 per cento e che si pone di otto punti al di sotto della vera e propria debacle di quella Bank of America che ha dopo ricevuto un’iniezione di capitali pubblici da 20 miliardi di dollari, ricevendo al contempo l’autorizzazione della Fed di New York a scaricare altri titoli più o meno tossici della finanza strutturata dal valore facciale di 120 miliardi di dollari, ma che, ove venduti sul mercato, non varrebbero nemmeno un quinto di tale valore.
Se vi è una cosa certa, è che il povero presidente della più importante tra le banche che compongono il sistema della riserva federale, Timothy Geithner, non vede davvero l’ora di ottenere i previsti placet dal Congresso alla sua nomina a successore dell’ex (?) investment banker Hank Paulson, non fosse altro che per allontanarsi dall’immensa discarica a cielo aperto oramai stracolma di titoli dal poco piacevole olezzo ma che già sono costati al contribuente la bellezza di duemila miliardi di dollari, o due trilioni come si usa dire da quelle parti!
Proprio mentre Obama giurava, il mitico e ineffabile Effe O Ixs, al secolo Christopher Cox, ha firmato la sua lettera di dimissioni dall’incarico di presidente della Securities and Exchange Commission, una delle tante autorità statunitensi che in questi anni, se non negli ultimi due decenni, hanno girato con costanza degna di miglior causa la loro testa dall’altra parte, basti pensare che la divisione della Sec che avrebbe dovuto prevenire i dissesti delle banche quotate si era più o meno ridotta alla sola targa, in quanto si riteneva che non servisse assolutamente a nulla ed è solo nell’ottobre del 2007 che sono state reclutate in fretta e furia duecento persone che sono state letteralmente gettate nella mischia e a sorvegliare colossi bancari caratterizzate da bilanci così oscuri e così complessi da rendere del tutto risibili gli sforzi di un pugno di donne e di uomini di poca o nulla esperienza chiamati a confrontarsi con legioni di avvocati, fiscalisti, esperti della finanza più o meno strutturata e chi più ne ha ne metta.
Il mesto addio dell’uomo che credeva di essere più furbo dei vari David Einhorn in circolazione, cioè di quei miliardari e ottimi conoscitori delle pecche delle principali entità protagoniste del mercato finanziario globale in grado di guadagnare sia vendendo allo scoperto che approfittando degli insensati blocchi posti a tale tipo di operatività per speculare sui più che prevedibili rialzi, precede di poco i traslochi verso altri lidi di Bernspan e di Paulson, che mi auguro si siano preparati per tempo, anche per non fare la fine del vice di Bush, Dick Cheaney, costretto a partecipare in carrozzella alla cerimonia del giuramento dell’odiato avversario politico per la troppa foga messa nel fare gli scatoloni all’ultimo minuto.
A proposito delle audizioni in corso al Senato dei candidati, fanno sorridere le critiche mosse da alcuni esponenti repubblicani che contestano al giovane Geithner di essere inadatto al delicatissimo compito di ministro del Tesoro degli Stati Uniti d’America per essere troppo vicino alle istanze della potente anche se sempre meno preveggente Goldman Sachs, critiche mosse molto spesso da quegli stessi senatori che non trovarono nulla da ridire sul fatto che il predecessore di Geithner, Hank Paulson, assumesse lo stesso incarico nel giugno del 2006 quando sino al giorno precedente era, e da lunga pezza, Chairman e Chief Executive Officer proprio della più blasonata tra le ex Investment Bank e che il suo ruolo nel salvataggio del colosso assicurativo AIG non è stato certo minore di quello del povero presidente della Fed di New York.
Il più che prevedibile rimbalzo delle quotazioni delle banche, delle compagnie di assicurazione e delle corporations di ogni ordine e rango dopo le perdite spettacolari registrate nella terribile seduta di martedì, sta spingendo verso l’alto i tre indici principali di Wall Street , anche se in misura non sufficiente a recuperare il terreno perduto, anche perché le notizie che provengono dal disastrato settore immobiliare, in particolare quell’indice che misura la fiducia dei costruttori che si sta avvicinando paurosamente a zero, inducono a ritenere che si sia ben lungi dall’aver toccato il fondo del grafico dei prezzi che continua a essere appesantito dalla falcidia delle procedure di esproprio delle case dei mutuatari morosi, dall’affollamento delle date delle aste promosse dalle banche e dal concomitante e apparentemente inarrestabile aumento dello stock delle case invendute.
Volgendo lo sguardo al settore finanziario a stelle e strisce, non può non colpire la ripresa dei movimenti molto violenti al ribasso e al rialzo delle quotazioni delle principali banche che, in due sole sedute, hanno generalmente fatto registrare escursioni superiori ai quaranta punti percentuali, per non parlare degli oltre settanta punti percentuali complessivi di variazione registrati dall’azione della State Street Bank, movimenti questi che stanno mandando di nuovo alle stelle l’indice della volatilità, comunemente definito l’indice della paura.
In una giornata caratterizzata dai rimbalzi delle maggiori banche europee, si fanno notare i segni più frazionali di alcune banche fortemente penalizzate nelle sedute precedenti, ma ancor di più i persistenti segni meno di alcune banche italiane come Intesa-San Paolo, il Monte dei Paschi di Siena e del gruppo bancario e assicurativo Unipol.
Ricordo che il video del mio intervento al convegno della UIL sulla crisi finanziaria è presente nella sezione video del sito dell’associazione Free Lance International Press all’indirizzo http://www.flipnews.org/