Il crollo dell’indice manifatturiero statunitense elaborato dall’Institute for Supply Management relativo al mese di dicembre a 32,4 punti dai 36,2 di novembre (mentre i molto speranzosi analisti speravano che si fermasse al di sopra dei 35 punti), non fa che confermare che nell’ultimo trimestre dell’orribile 2008 che si è appena concluso il passo all’indietro compiuto dall’economia a stelle e strisce potrebbe davvero essere più nell’ordine del 6 per cento che di quel 4,0-4,5 previsto per il prodotto interno lordo dagli analisti più pessimisti fino a qualche settimana fa.
La reazione positiva che il mercato azionario statunitense, peraltro in linea con la performance di stamane di quelli asiatici e, successivamente, delle principali piazze europee, sta fornendo nelle ultime sedute ad un vero e proprio fuoco di fila di notizie molto pesanti rappresenta un’ulteriore dimostrazione delle speranze che vengono riposte nel salvataggio delle due compagnie automobilistiche USA maggiormente a rischio di default, sia mediante l’assegno da 13,4 miliardi di dollari letteralmente estorto da Bush a Hank Paulson, sia attraverso il salvataggio, sempre a suon di fondi attinti dal TARP, del braccio finanziario di quest’ultima, GMAC.
Come ho avuto modo di dire più volte, la rinegoziazione dei mutui più a rischio, le condizioni poste non solo alle nazionalizzate Fannie Mae e Freddie Mac, ma anche a Citigroup e all’intera pattuglia di testa del sistema bancario americano, il salvataggio in extremis di due terzi abbondanti delle case automobilistiche a stelle e strisce, sono tutte mosse che, se verranno perseguite con costanza e coerenza, possono tentare di bloccare quel micidiale effetto domino che rischiava di trasformare la tempesta perfetta nella più lunga recessione non solo statunitense, ma anche planetaria!
Le stesse tecnicalità del salvataggio di GMAC, svelate in un lungo documento presentato alla Securities and Exchange Commission dalla società finanziaria in condominio tra General Motors e le locuste del fondo Cerebrus, chiariscono in modo assolutamente inequivocabile che sia l’amministrazione uscente che quella entrante stimano in almeno sei trimestri (a partire dal primo quarto del 2009) la fase peggiore della tempesta in corso, esattamente lo stesso lasso di tempo rappresentato dal periodo di grazia sull’interesse dell’8 per cento previsto per le azioni privilegiate per 5 miliardi di dollari sottoscritte dal Tesoro statunitense, il che a sua volta implica che la durata minima della crisi finanziaria è ormai stimata in dodici trimestri, cioè tre anni, uno e mezzo dei quali già trascorsi.
Il problema, purtroppo, sta nel fatto che le stime fatte a tavolino non tengono, né prevedibilmente posso farlo, conto del fatto che la traiettoria dell’economia statunitense, così come di quella di tutti gli altri paesi industrializzati, è il risultato delle centinaia di milioni di scelte individuali compiute quotidianamente da donne e uomini che hanno vissuto, sin dall’estate del 2007, il frantumarsi in mille pezzi del cosiddetto American Dream, vedendolo, in un relativamente breve volgere di tempo, trasformarsi in una sorta di incubo che metteva in discussione il principio della proprietà della casa di abitazione, la mobilità alquanto semplice tra un’occupazione e l’altra e quella stessa mobilità a livello geografico che è sempre stata una caratteristica distintiva della società americana.
Non metto in discussione che la politica del tasso zero di recente adottata dalla Federal Riserve, così come la sostanziale messa in sicurezza del debito interbancario, per non parlare del ruolo iperattivo svolto direttamente dalla Fed a favore della liquidità del mercato delle Commercial Papers rappresentino delle utile premesse per fare fronte al gigantesco fenomeno del credit crunch che è stimabile prudenzialmente nell’ordine dei 10-15 mila miliardi di dollari, ma è, lo ripeto, una condizione necessaria, ma assolutamente non di per sé sufficiente per far ripartire quel modello di consumi basati sui finanziamenti che è stato di fatto una delle prime applicazioni del principio del moto perpetuo all’economia statunitense, un fenomeno che non è mai riuscito ad essere esportato in altri paesi industrializzati, con la sola e non lodevole eccezione della Gran Bretagna.
Certo, se si tiene conto delle sedute del mercato azionario statunitense successive all’Election Day di novembre, si può tranquillamente dire che, pur essendo di soli 700 punti al di sopra dei minimi segnati nel tragici mese di ottobre del 2008, le speranze degli operatori e degli analisti di Wall Street nelle doti taumaturgiche di Obama e del suo Dream Team sono altissime, forse addirittura esagerate, come sostengono i commentatori e gli analisti meno emotivi, non fosse altro che è molto difficile, anche per il miglior pilota di formula uno, saltare in corsa da un auto in fiamme ad un'altra vettura, il che è forse un tantino più facile che mettere in piedi un modello di sviluppo mentre il precedente è in una situazione di default come non se ne erano viste dalla fine del secondo conflitto mondiale.
Se vi è un comune denominatore tra personaggi come Paul Volker, Warren Buffett, George Soros, solo per parlare dei più preminenti consiglieri economici di Barack Obama, questo è rappresentato dal fatto che sono tutte persone che dei meccanismi dell’economia capitalistica conoscono perfettamente sia le luci che le ombre, ma soprattutto sono consapevoli dell’incapacità del sistema di porre da solo rimedio ai suoi errori, in particolare quando gli stessi sono delle dimensioni messe chiaramente in mostra dalla tempesta perfetta, mentre è certo che i membri più giovani, da Timothy Geithner alle due giovani economiste, una delle quali già spedita a prendere il posto di Effe O Ixs alla Sec, potrebbero essere meno immuni al virus rappresentato dall’ideologia monetarista e, successivamente, da quella neoliberista.
Ricordo che il video del mio intervento al convegno della UIL sulla crisi finanziaria è presente nella sezione video del sito dell’associazione Free Lance International Press all’indirizzo http://www.flipnews.org/ mentre gli atti del convegno sono esportabili dal sito http://www.uil.it/ nella sezione del dipartimento di politica economica.