venerdì 23 gennaio 2009

Sarà davvero un tranquillo weekend di paura per i banchieri europei!


Mentre ci si avvicina a un nuovo fine settimana decisivo, o che potrebbe essere tale, per decidere quale strada seguire per porre un argine al meltdown del settore finanziario statunitense e di quello globale, i mercati sembrano intenzionati a segnalare che quanto è stato fatto sinora non è servito a iniettare le dosi sufficienti di fiducia sulla rotta intrapresa dai governi e dalle banche centrali, un elemento non da poco ove si consideri che soltanto al di qua e al di là dell’Oceano Atlantico sono stati già spesi qualcosa come 5 mila miliardi di dollari, più o meno la metà di quanto stanziato per fronteggiare una tempesta perfetta che dura oramai da diciotto mesi e non sembra perdere l’impeto iniziale.

Certo, il clima di totale sfiducia esistente sul mercato interbancario globale si è certamente rasserenato rispetto a quello riscontrabile qualche mese fa, ma non dimenticato che una delle misure caldeggiate nel corso dell’ultimo vertice del G20 a Washington e poi fatta propria da diversi paesi industrializzati è stata proprio quella di garantire più o meno a piè di lista il passivo delle banche sia nei confronti dei depositanti che quello esistente tra di loro, una misura eccezionale che, tuttavia, non ha consentito di evitare che sparissero letteralmente dal mercato decine di migliaia di dollari divorati da quel fenomeno che prende il nome di credit crunch.

Quello che potrebbe essere deciso nelle prossime ore da Gordon Brown, Nicolas Sarkozy e Angela Merkel è di intraprendere con maggiore decisione e senza più ascoltare i lamenti dei banchieri la strada di una nazionalizzazione di una parte rilevante del sistema bancario dei rispettivi paesi, affidando alle banche prescelte (ci si augura in base a criteri oggettivi) il compito di farsi carico di quelle banche che sono considerate tecnicamente fallite e per ciò stesso giudicate irrecuperabili.

Pur volendo evitare con cura di addentrarmi nel ginepraio di criteri e valutazioni che hanno spinto a compiere la selezione, considero essenziale ribadire che, alla fine della fiera, la situazione dei mercati creditizi dei tre maggiori paesi dell’Unione Europea non potrà essere molto dissimile da quello esistente da qualche anno in Spagna, dove, dopo un processo durissimo di selezione, sono emersi due soli grandissimi gruppi bancari che, forse non del tutto a caso, sono passati pressoché indenni tra gli alti marosi della tempesta perfetta, e dico quasi perché, anche se in misura diversa, sono incappati nello schema di Ponzi di Bernard L. Madoff, una circostanza che ha letteralmente fatto perdere il sonno a Don Emilio Botin e ha reso molto turbolente le riunioni che usa tenere nel pomeriggio del giorno che i cristiani solitamente dedicano al riposo e alla preghiera.

Mentre uno scenario simile potrebbe presentare pochi problemi in Germania, dove da qualche tempo le banche private si sono di fatto già ridotte a due, anche se resta il problema di quel 70 per cento circa del mercato creditizio tuttora appannaggio delle Landesbanken e delle Sparkassen, le cose sono destinate a complicarsi parecchio quando si prendono in considerazione la realtà francese e quella britannica, che di grandi banche ne annoverano almeno quattro ciascuna, nessuna delle quali sembra incline a interpretare la parte della aggregata da qualche odiata rivale, a meno che il tutto non venga deciso per decreto!

Ma se le cose si presentano complesse nei tre paesi che hanno deciso di prendere il toro per le corna e hanno messo nel piatto oltre 1.500 miliardi di euro, provate voi a immaginare quanto lo siano di più in un Paese come l’Italia che, a parte il provvedimento assunto d’urgenza a tutela dei depositanti, ha sinora affrontato gli alti marosi della tempesta perfetta erigendo una diga di parole e di buoni proponimenti, evitando, al contempo e con estrema cura, di mettere anche un solo euro a disposizione delle banche che oramai vedono la loro capitalizzazione di borsa ridotta in non pochi casi a un quinto di quella vantata quando le cose andavano ancora bene ed erano universalmente valutate come un po’ conservatrici ma molto affidabili.

Come scrivevo nella puntata di ieri, il per la terza volta ministro italiano dell’Economia, Giulio Tremonti, ha fatto esattamente quello che aveva detto sin dall’inizio e, cioè, ha tessuto una vera e propria tela di Penelope in quel di via XX Settembre, redigendo e cancellando per oltre tre mesi quel decreto che avrebbe consentito al Tesoro di sottoscrivere le obbligazioni emesse dalle banche, sapendo benissimo che sarebbe giunto il giorno in cui i vertici delle stesse gli avrebbero chiesto a gran voce di fare quello che soltanto qualche mese fa giudicavano inutile e superfluo e che oggi appare come l’unica soluzione possibile per riportare i ratio patrimoniale nella versione definita TIER 1 ai livelli previsti dalle norme vigenti, ben sapendo che da un momento all’altro quello stesso limite minimo potrebbe essere elevato all’8 per cento, un livello per molte, se non tutte, del tutto irraggiungibile.

Nel frattempo, un interessante banco di prova è rappresentato dall’aumento di capitale deciso in quell’orribile mese di ottobre del 2008 da Unicredit Group, una roba da complessivi 3,3 miliardi di euro che costerà alla sola Fondazione Cariverona la cifra tonda di 500 milioni di euro, ma che, per la disperazione del suo presidente, Paolo Biasi, ne varrebbe, mark to market, poco più di un terzo e si accompagna al previsto digiuno primaverile in sede di attribuzione del dividendo.

Non sono assolutamente in grado di dire come finirà questa operazione, ma sono certo che la lettera circolare che Tremonti ha inviato nei giorni scorsi alle fondazioni di origine bancaria e, soprattutto, le insidiose e indiscrete domanda da lui rivolte influenzeranno e non di poco le scelte in materia delle fondazioni medesime!

Ricordo che il video del mio intervento al convegno della UIL sulla crisi finanziaria è presente nella sezione video del sito dell’associazione Free Lance International Press all’indirizzo http://www.flipnews.org/.