lunedì 4 maggio 2009

Ma c'è davvero libertà di informazione?


Ieri, come ogni 3 maggio, si festeggiava la giornata della libertà di informazione, una ricorrenza che è stata ricordata in tutto il mondo, almeno nei paesi in cui è possibile farlo, aggiornando il lungo elenco di giornalisti vittime dell’ostilità di quanti ritengono che l’attività di informare il pubblico costituisca un vulnus per i propri interessi e per la difesa del proprio potere.

Ritratta, purtroppo, di un elenco lunghissimo di vicende sanguinose e che hanno spesso come teatro zone di guerra più o meno dichiarata, ma anche paesi a democrazia molto limitata e nei quali le oligarchie al potere non sopportano proprio che donne e uomini impegnati a vario titolo nel settore dell’informazione ficchino il naso nei loro più o meno loschi traffici, così come accade quotidianamente in alcune delle repubbliche nate dal dissolvimento dell’Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche, Russia in testa, per non parlare di quanto accade in numerosi paesi africani, mediorientali, asiatici e latino americani.

Spesso, in queste parti del pianeta, l’eliminazione fisica non è l’unica modalità seguita, in quanto è molto più facile per coloro che sentono minacciati i propri interessi seguire altre strade, che vanno dalle blandizie alle minacce, dal licenziamento delle giornaliste e dei giornalisti più scomodi, dalla costruzione di vere e proprie montature alle condanne comminate da giudici compiacenti e sensibili al fascino del potere, il tutto condito da calunnie e diffamazioni volte a rendere meno credibili coloro che non si riece a colpire nei modi sopra elencati.

Se questa è la parte più appariscente della più generale questione della libertà di informare ed essere informati, non vi è dubbio che nei paesi maggiormente industrializzati, una fattispecie che, a torto o a ragione, è ritenuta una sorta di proxy del relativo tasso di democrazia, esistono forme più sottili di condizionamento delle donne e degli uomini che ritengono di voler avere come unica stella polare la nuda e cruda verità dei fatti, una scelta peraltro poco praticata a causa non solo e non tanto delle pressioni degli editori e dei superiori gerarchici in redazione, ma, e forse soprattutto, di una diffusa forma di autocensura che condiziona non solo i giornalisti affermati, ma anche quanti sono davvero alle prime armi del mestiere di giornalista e che sembrano forse digiuni delle regole fondamentali per redigere un testo o commentare una notizia, ma sono abilissimi a capire da che parte tira il vento e desiderosi di dimostrare che di loro ci può davvero fidare!

Le stesse regole di accesso alla professione esistenti in Italia, regolate da una legge che di fatto santifica la cosiddetta cooptazione dei praticanti che vengono assunti in quanto tali dalle varie testate giornalistiche, sia nel settore della carta stampata che nei cosiddetti altri media, danno modo di operare una selezione preventiva che è in larga misura basata all’accertamento della affidabilità e disponibilità della nuova recluta, qualità che fanno addirittura premio sulla competenza, gli studi specifici, confermando, ma in modo deteriore, il fatto che giornalisti si nasce e non si diventa.

Se tutto questo è sostanzialmente vero in tutti gli ambiti dell’informazione, diviene addirittura la regola nel campo dell’informazione economica, un’attività per lunghissimo tempo confinata nell’ambito dei quotidiani e settimanali specializzati e spesso collegati alle associazioni di categoria degli imprenditori e che solo da pochi decenni è presente nei giornali a vocazione universale, seguita da redazioni spesso costruite in fretta e furia da editori che non volevano restare fuori dal gioco e che spesso sono composte da redattori molto volenterosi ma completamente a digiuno di economia e finanza, quindi molto più disponibili a passare le veline costruite dai vari uffici stampa aziendali o a fare proprie le confidenze ricevute dal capo dell’ufficio stampa o da qualche suo collaboratore.

Nel corso della mia attività di pubblicista in materia economica e finanziaria, ho avuto modo di toccare con mano l’intreccio perverso che si crea tra la scarsa preparazione specialistica di una parte considerevole di questi operatori dell’informazione e la grande disponibilità di quanti avevano scelto di fare i giornalisti in nome e per conto di una banca, di una compagnia di assicurazione o di un’azienda industriale, anche se devo dire che i fenomeni di vera e propria corruzione emersi ai tempi di Tangentopoli riguardavano giornalisti economici molto preparati in materia e che non a caso erano editorialisti, inviati, capo redattori, vice capo redattori e capi servizio, così come non mi risulta che alcuno di loro sia stato radiato in via definitiva dal potente Ordine dei giornalisti.

Avendo vissuto in prima linea la fase conclusiva della decennale guerra della chimica, l’epopea di Raul Gardini, la parabola discendente delle partecipazioni statali, la fase di avvio della deregolamentazione sui mercati finanziari, le a volte poco comprensibili mosse della CONSOB, gli effetti nefasti del crollo di Wall Street nell’ottobre del 1987, il tutto condito da scandali finanziari di varia dimensione e gravità, posso tranquillamente affermare che non vi è un settore dell’informazione così pronto a chiudere non uno, ma anche tutti e due gli occhi di fronte alle malefatte dei potenti, come quello economico, non a caso il settore che gode delle maggiori attenzioni da parte degli stessi potenti soggetti sui quali dovrebbe vigilare.

Che tutto questo non appartenga a un passato più o meno remoto, ho avuto modo di verificarlo in occasione del recente scandalo bancario avvenuto sul confine della Repubblica di San Marino, un evento relegato nelle pagine locali dei giornali romagnoli o nel modo in cui la stampa e gli altri media hanno trattato la più grave crisi finanziaria mai verificatasi dopo quella del 1929, una crisi che richiedeva il massimo di copertura sin dall’inizio, condizione necessaria, seppur non sufficiente, perché fosse consentito ai risparmiatori di mettersi in salvo!

Ricordo che il video del mio intervento al Convegno della UIL sulla crisi finanziaria è presente sul sito dei dell’associazione FLIP, all’indirizzo http://www.flipnews.org/ . Riproduzione della presente puntata possibile solo citando l’autore e l’indirizzo del blog