mercoledì 20 maggio 2009

Per il WSJ, alle banche USA servono 766 miliardi di dollari: e a quelle europee?


A volte la verifica di una previsione richiede tempi talmente lunghi che quando avviene pochi ricordano che è stata fatta, per non parlare poi dell’amnesia più o meno collettiva rispetto a chi ne è stato l’autore, un lag temporale al quale è abituato chiunque si diletti in questa attività, ma che si è verificato solo in parte nel caso delle puntate del Diario della crisi finanziaria dedicate al sempre più probabile fallimento di Lehman Brothers, l’ultima delle quali, “Lehman is the next?”, precedette solo di due settimane la consegna, in una calda serata di metà settembre dell’anno scorso, dei libri in tribunale da parte di uno stremato e sconfitto Richard Fuld, uno che ancora oggi non riesce a capire, ma in questo caso è in buona compagnia, per quale motivo il trio Bush-Paulon-Bernspan decise per il pollice verso solo per la ‘sua’ banca.

Ma devo confessare che non mi era mai capitato di assistere a una realizzazione pressoché istantanea di una previsione, peraltro largamente controcorrente, come è capitato nel caso della puntata apparsa ieri e che metteva in guardia i lettori dalle facili e un po’ strampalate ventate di ottimismo sulla fine del meltdown immobiliare statunitense, un ottimismo molto diffuso e che nella giornata di lunedì aveva tratto ulteriore alimento da due dati minori e neanche troppo affidabili e che, già nel pomeriggio di ieri, è stato letteralmente spazzato via dalla diffusione del dato relativo alle nuove case e ai nuovi permessi di costruzione, entrambi piombati al di sotto delle 500 mila unità annualizzate e che, per quanto riguarda le nuove case realizzate, evidenzia un tasso di crescita così basso come non si vedeva da ben mezzo secolo.

Per quanto riguarda le case di nuova costruzione, il calo è superiore al 12 per cento se si considerano insieme le case indipendenti e gli appartamenti realizzati in condomini, ma sezionando il dato si scopre che la seconda tipologia di abitazioni, quella che peraltro aveva retto meglio negli ultimi mesi, ha subito un crollo verticale che si è fermato solo di poco al di sotto del 50 per cento (46 per cento, per la precisione), mentre le case cosiddette individuali hanno registrato un piccolissimo incremento.

La soddisfazione del previsore è, tuttavia, sovrastata dalla delusione che io stesso provo per l’allontanarsi per molto tempo ancora della cosiddetta luce in fondo al tunnel della recessione che, almeno sul piano statistico, dura oramai da diciotto mesi, appena meno della tempesta perfetta che, a questo punto è pressoché certo, non avrà difficoltà alcuna a festeggiare il proprio secondo compleanno senza avere perso nemmeno una parte della sua virulenza iniziale.

Se qualcuno dovesse credere che l’ennesimo insuccesso degli ottimisti a un tanto al chilo li dissuaderà dall’esimersi dal praticare questo insensato sport, temo verrà deluso, anche perché questi imbonitori alquanto prezzolati non hanno mai guardato troppo per il sottile, né si sono mai curato troppo della loro già molto esile reputazione, così come non sono noti per prendere in considerazione l’amaro corollario della favola del bambino che gridava di continuo al lupo, al lupo, un’indifferenza dovuta al fatto che rarissimamente sono stati chiamati a pagare pegno e che pensano, in questo caso in perfetta buonafede, che prima o poi il commento che faranno annuncerà la tanto sospirata ripresa!

Se pensate che questa ennesima secchiata di acqua fredda sugli entusiasmi degli analisti e dei commentatori alquanto embedded alle logiche del capitale finanziario abbia determinato sfracelli sui mercati azionari statunitensi e, per quel che restava della giornata di contrattazione, sui mercati europei, ebbene vuole dire che non avete ancora capito quello che sta accadendo da almeno tre mesi a Wall Street e dintorni, mercati che vedono gli investitori/risparmiatori in posizione del tutto marginale rispetto al ruolo centrale giocato dagli investitori istituzionali e dalle principali entità protagoniste del mercato finanziario a stelle e strisce e di quelle entità straniere ma aventi operatività a livello più o meno globale.

Per avere un’idea, anche vaga, di quanto sta avvenendo, può essere utile dare uno sguardo a quanto riporta il Wall Street Journal, il quotidiano che da oltre un anno e mezzo si è trasformato nel giornale di bordo della flotta finanziaria alle prese con i sempre più alti marosi della tempesta perfetta e che, non fidandosi appieno dell’operazione stress test condotta da Geithner e dal sistema della riserva federale sulle prime diciannove banche, ha deciso di appaltare in proprio un’indagine similare sulle 900 istituzioni creditizie di medie e piccole dimensioni e dalla quale emerge che 600 di queste banche non hanno superato il test e che avrebbero quindi bisogno, entro il dicembre di quest’anno di capitali aggiuntivi per 200 miliardi di dollari, in gran parte legati alle probabili insolvenze dei mutuatari, ma anche connesse ad altri rami dell’attività creditizia.

Non che le cose siano andate bene nel test ufficiale condotto dalle autorità monetarie statunitensi sulle prime diciannove entità, non fosse altro che per il fatto che è emerso che dieci di queste, in particolare Bank of America e Wells Fargo, abbisognerebbero, ove si realizzasse lo scenario peggiore previsto dal test, di capitali aggiuntivi per 566 miliardi di dollari, un decimo dei quali riferiti soltanto alle due grandi banche menzionate di sopra, poco meno di 35 miliardi per la sola Bank of America, 13,6 miliardi, invece, nel caso di Wells Fargo.

L’idea balenata nell’ambito della Commissione europea di procedere a un analogo esperimento per le principali istituzioni finanziarie poste al di qua e al di là della Manica sembra un’idea tutt’altro che peregrina, anche perché servirebbe a comprendere meglio i motivi per i quali gli economisti del Fondo Monetario Internazionale attribuiscono perdite maggiori alle banche europee rispetto a quelle americane, 1.200 miliardi di dollari contro poco più di 1.000, nonché a fugare le voci che circolano sull’ammontare dei titoli tossici che tuttora gravano sui bilanci delle banche del Vecchio Continente!

Ricordo che il video del mio intervento al Convegno della UIL sulla crisi finanziaria è presente sul sito dei dell’associazione FLIP, all’indirizzo http://www.flipnews.org/ . Riproduzione della presente puntata possibile solo citando l’autore e l’indirizzo del blog