Se gli effetti della tempesta perfetta iniziata il 9 agosto del 2007 hanno avuto effetti devastanti su tutte le entità a vario titolo partecipanti al mercato finanziario globale, non vi è dubbio che l’impatto che i suoi altissimi marosi hanno avuto sulle banche di ogni ordine e grado non presenta confronti con nessun altro settore dell’attività finanziaria, né tanto meno di quella industriale.
Non ho alcuna intenzione di fare i conti della perdita in termini di patrimonializzazione di borsa, della distruzione di ricchezza, delle perdite a tendere ancora presenti nei valori riportati al di sopra e al di sotto della linea di bilancio delle banche operanti sui mercati finanziari degli Stati Uniti d’America, dell’Europa, dell’Asia e quelli che caratterizzano le altre aree del pianeta, non fosse altro che per il fatto che è ancora presto per tirare le somme, ma anche perché è sempre più complesso lavorare su dati di bilancio che sono oggi ancora più oscuri e meno affidabili di quanto fossero prima dell’inizio di questo progressivo processo di meltdown.
Al di là del numero relativamente contenuto di banche che hanno letteralmente chiuso i battenti, un numero che, al di qua e al di là dell’Oceano Atlantico, continua a mantenersi al di sotto delle cento unità, la riduzione della capacità di offerta di credito in senso lato e la contrazione degli organici di banche e finanziarie è oramai visibile a occhio nudo, con la prima prudenzialmente cifrabile nell’ordine delle decine di migliaia di miliardi di dollari e la seconda rappresentabile in alcune centinaia di migliaia di donne e di uomini che hanno dovuto, spesso con largo anticipo sulle aspettative personali, porre termine a una esperienza lavorativa che aveva dato loro sicurezza economica e, almeno così mi auguro, soddisfazioni personali.
Tutto questo è certamente vero nel complesso dell’attività creditizia e finanziaria, ma lo diventa in modo che è quasi un eufemismo definire drammatico nell’un tempo dorato ed estremamente espansivo comparto delle attività di & Corporate & Investment Banking, sia con riferimento alle Investment Banks che alle divisioni CIB delle banche più o meno globali, nonché delle compagnie di assicurazione e delle divisioni finanziarie, più o meno autonome sul piano societario, delle aziende industriali, in particolare di quelle a carattere multinazionale.
La riduzione delle attività di Corporate & Investment Banking è stata, infatti, di gran lunga superiore rispetto a quella che si sta verificando nelle attività creditizie a carattere più tradizionale, soprattutto perché si è improvvisamente inaridito l’intenso processo che trasformava il ‘prodotto caratteristico’ dell’attività creditizia, il lending nelle sue varie forme, in qualcosa d’altro che veniva poi trasferito ad altri soggetti, mediante prodotti della finanza strutturata più o meno complessi, più o meno trasparenti e, soprattutto, più o meno rischiosi, un processo assicurato dalle invenzioni degli apprendisti stregoni delle a volte immense fabbriche prodotto delle Investment Banks e delle divisioni di Corporate & Investment Banking delle banche e degli altri soggetti menzionati sopra.
La drastica riduzione del livello di attività si è intrecciata con la spesso drastica riduzione del capitale allocato dalle banche a queste un tempo onnipotenti divisioni, ma si è tradotto anche in una vera e propria ‘strage’ delle donne e degli uomini che vi operavano, una contrazione che è stata particolarmente forte nel colosso creditizio extracomunitario UBS, You & Us, nelle cinque grandi Investment Banks a stelle e strisce oramai ridotte a due, in quanto l’orso di Stearns e Merrill Lynch sono stati acquisiti da altre banche, mentre la povera Lehman Brothers è stata colpita, a metà del settembre dello scorso anno, dal fuoco amico dell’ex (?) investment banker ed ex ministro del Tesoro USA, Hank Paulson.
Pur non rappresentando che un quinto circa delle posizioni di lavoro perdute nell’industria finanziaria, non vi è dubbio alcuno che le stesse pesino in misura molto più che proporzionale, sia per le retribuzioni medie previste in tale stressante ma molto remunerativo comparto di attività, sia per la prassi alquanto diffusa di gratificare il personale di ogni ordine e grado con le forme più varie di profit sharing, una pratica che peraltro è continuata in modo imperterrito sia nel corso dell’esercizio 2007 che in quello successivo, con riduzioni non eclatanti e peraltro ampiamente mitigate dal fatto che le teste da contare nella spartizione dell’ammontare complessivo previsto erano improvvisamente divenute molte, ma proprio molte di meno.
La persistenza di meccanismi di retribuzione variabile anche in anni di vacche che più che magre sono apparse ai più davvero scheletriche ha suscitato negli Stati Uniti d’America e un po’ in tutto il resto del pianeta un forte moto di indignazione popolare che ha trovato vasta eco nelle aule del Congresso statunitense e negli omologhi organismi parlamentari esistenti nei paesi maggiormente industrializzati, né ha trovato indifferenti i leaders politici e le stesse autorità monetarie, non fosse altro che per la lapalissiana considerazione che quanto è avvenuto in AIG, Merrill Lynch e dintorni rende palese il carattere ben poco variabile di queste forme di compensation che, invece, tali dovrebbero essere per definizione.
Anche se ve ne sarebbe d’avanzo per avere la tentazione di buttare via il bambino insieme all’acqua sporca, credo sia, invece, il caso di augurarsi che da questa drammatica fase di contrazione e ristrutturazione si possa tornare ad un industria finanziaria che torni alla sua mission originaria che era poi quella di aiutare la clientela a rendere per quanto possibile semplici e gestibili problemi complessi, in particolare riprendendo ad aiutare le imprese a coprire i rischi di tasso e di cambio insiti nell’attività caratteristica delle imprese industriali e di servizi, un mestiere forse un po’ più noiso di quello esercitato negli ultimi decenni, ma certamente più sicuro e più sostenibile nel medio e nel lungo periodo!
Ricordo che il video del mio intervento al Convegno della UIL sulla crisi finanziaria è presente sul sito dei dell’associazione FLIP, all’indirizzo http://www.flipnews.org/ . Riproduzione della presente puntata possibile solo citando l’autore e l’indirizzo del blog