Pur avendo dichiarato a più riprese la mia pressoché totale indifferenza nei confronti degli andamenti del mercato azionario, ritenendoli uno dei punti riferimento meno importanti nel tentativo di orientare me stesso e i miei lettori nella navigazione a vista della flotta finanziaria squassata da oltre ventuno mesi dai sempre più alti marosi della tempesta perfetta, non posso esimermi dal fare di tanto in tanto il punto, con particolare riferimento ai tre maggiori indici statunitensi.
Non vi è dubbio che, dopo avere toccato i minimi nei primissimi mesi dell’anno, con il raggiungimento da parte di alcuni importanti titoli del settore finanziario di livelli ancora più bassi di quelli toccati nell’orribile mese di ottobre del 2008, si è registrata nei mesi successivi una decisa correzione al rialzo, con incrementi davvero significativi delle quotazioni delle azioni delle banche statunitensi superstiti e che in alcuni casi hanno raggiunti significativi multipli rispetto a valori che si erano approssimati paurosamente allo zero.
Come ho avuto modo di dire più volte, alla base dei rimbalzi delle azioni di Citigroup o di Bank of America non vi era solo la reazione naturale a una esagerazione ribassista proveniente dalle forze più o meno spontanee che si agitano nel mercato, quanto la valutazione del fatto che entrambi i colossi creditizi sarebbero, come poi lo sono stati, oggetto delle premurose attenzioni di Timothy Geithner e di Bernspan che non si sono limitati a proseguire nelle iniezioni di capitali pubblici nell’ordine di svariate decine di miliardi di dollari cadauno, ma hanno anche sollevato sia l’una che l’altra banca di titoli più o meno tossici della finanza strutturata per centinaia e centinaia di miliardi di dollari, un piccolo anticipo, peraltro, di quanto il Tesoro statunitense si appresta a fare grazie alle costituende joint ventures pubblico-privato destinate a fare incetta di migliaia di miliardi di dollari di titoli della specie, anche se non è ancora del tutto chiaro il meccanismo di determinazione del prezzo degli stessi.
La corsa dell’orso o il rimbalzo del coniglio morto sono in larga misura basati sul complesso di scommesse quali quella appena descritta, nonché, ma in misura certamente inferiore, sul convincimento che il peggio della tempesta perfetta sui mercati finanziari, così come i nefasti e visibili effetti della stessa sull’economia reale, sia oramai alle nostre spalle, una convinzione che sarà pure in pieno contrasto con i dati provenienti dall’economia a stelle e strisce, ma che ha visto il meglio del meglio dei cervelli della potente e ancor più preveggente Goldman Sachs dare veramente fondo a tutte le loro risorse, con particolare riferimento alla bizzarra teoria che vorrebbe un calo di 30-40 mila jobless claims per qualche settimana per intravedere un segnale di svolta in un mercato del lavoro che conta poco meno di 14 milioni di disoccupati ufficiali, un dato di per sé preoccupante, ma che sale a oltre 24 milioni se si usano criteri un po’ più europei per valutare, ad esempio, le unità di lavoro perse con gli svariati milioni di passaggi più o meno forzosi al part time o il numero più o meno equivalente di abbandono del mercato del lavoro per disperazione!
In una fase diversa dall’attuale, sarebbero fioccati ponderosi e accurati rapporti volti a dimostrare che difficilmente si potrà verificare una svolta economica in presenza di un ritmo di oltre 300 mila procedure di foreclosure al mese o una perdita di posti di lavoro, al netto delle poche ma esistenti assunzioni, nell’ordine di oltre 600 mila unità al mese negli ultimi sei mesi, il tutto mentre nessuno ha ancora capito quale sarà il livello di capacità produttiva dello strategico settore automobilistico e del suo rilevante indotto all’indomani di quel 31 di maggio che il presidente Barack Obama ha posto come termine ultimo per trovare una soluzione agli immensi guai di General Motors e mentre ancora nessuno è in grado di capire quale sarà la Chrysler che uscirà dalle procedure della legge fallimentare a stelle e strisce.
Rapporti analoghi potrebbero riguardare le altre branche dell’industria americana, forse meno allo stremo del settore automobilistico, ma certamente fiaccate dal calo della domanda interna e dell’export, nonché alle prese con la scomparsa di quella metà del settore finanziario della quale ci ha autorevolmente informato lo stesso nuovo inquilino della Casa Bianca, il tutto mentre nessuno osa pensare allo stato effettivo di salute degli investitori istituzionali, fondi pensione in primis, che gestivano nel lontano 1996 le speranze previdenziali di 63 milioni di americani, un dato che andrebbe certamente visto al rialzo alla luce del fatto che si sono nel frattempo moltiplicate le aziende che hanno trasferito il rischio previdenziale dai propri bilanci alle già macilente spalle delle lavoratrici e dei lavoratori americani.
Pur in assenza di questi apporti analitici, è di tutta evidenza che, pur in assenza di un inasprimento del credit crunch in corso, è veramente difficile capire da dove dovrebbero venire i segnali di ripresa, a meno di ritenere che i 787 miliardi di dollari stanziati dal Congresso possano avere un esito molto, ma molto maggiore degli alquanto insensati interventi a pioggia approvati per ben due volte dall’amministrazione di George W. Bush, piani che non si differenziavano in modo sostanziale da quello in cui Obama continua a riporre una fiducia degna di miglior causa!
Lo stato delle finanze di una parte crescente delle famiglie statunitensi è ridotto a un tale livello che qualsiasi riduzione fiscale non potrà avere altro effetto che una riduzione dei debiti, mentre farà aumentare la propensione al risparmio delle famiglie ancora non toccate dagli effetti della crisi, mentre faranno poco più che il solletico alla parte più benestante della popolazione, un combinato disposto che non induce certo a ottimismo, il tutto senza tenere conto del fatto che il doppio passaggio parlamentare ha determinato la suddivisioni nei soliti mille rivoli della somma prevista, una verità riscontrabile scorrendo il lunghissimo elenco di provvidenze legate agli appetiti dei singoli collegi elettorali, mance e mancette che non è stato possibile evitare neanche in presenza dell’emergenza nazionale.
Ricordo che il video del mio intervento al Convegno della UIL sulla crisi finanziaria è presente sul sito dei dell’associazione FLIP, all’indirizzo http://www.flipnews.org/ . Riproduzione della presente puntata possibile solo citando l’autore e l’indirizzo del blog