La diffusione dei dati relativi al ritardo nel pagamento delle rate dei mutui nel primo trimestre dell’anno in corso ha fatto correre più di un brivido lungo la schiena degli analisti per una serie di fondate ragioni, a partire da quel dato sintetico che vede il 12 per cento dei mutuatari impossibilitati a fare fronte a rate, una difficoltà in buona parte legata alla ondata di licenziamenti che prosegue imperterrita da oltre un anno e mezzo e che rende difficile anche ai mutuatari con un buon merito creditizio di onorare puntualmente le scadenze mensili o semestrali del debito contratto per acquistare la propria abitazione o quel rifinanziamento del mutuo stesso contratto quando l’escalation dei prezzi degli immobili offriva agevolmente tale opportunità.
Il dato nazionale, pur il più elevato da quando sono iniziate le rilevazioni nel lontano 1972, non rende assolutamente l’idea di quanto sta avvenendo nei quattro Stati più colpiti dal meldown immobiliare, né la situazione davvero disastrosa in cui si trovano i titolari di mutui del tipo subprime o di quelle vere e proprie trappole mortali rappresentate dai vari tipi di ARM, due tipologie di mutui che sono andati in default nel 50 per cento dei casi, con punte del 55 per cento in Florida, nel New Jersey e nell’area di New York.
Ma l’epicentro del sisma finanziario che sta gettando nella disperazione milioni di famiglie americane è situato in California, Florida, Nevada e Arizona che rappresentano da soli poco meno della metà (il 46 per cento, a voler essere precisi) delle nuove procedure di foreclosure, il termine anglosassone per indicare l’esproprio e la successiva messa all’asta della casa, un meccanismo che, al di là di considerazioni sociali e umanitarie, sta spingendo drammaticamente verso il basso il valore delle case individuali e degli appartamenti situati in condomini e che sta andando contro gli interessi delle stesse banche creditrici che, oltretutto, spendono non meno di 50 mila dollari per ogni procedura attivata.
Ma quello che sta preoccupando di più gli esperti del settore e chiunque si occupi professionalmente di economia è rappresentato dal fatto che è praticamente raddoppiata, dal 3 al 6 per cento, .la percentuale dei mutuatari a medio e alto reddito che avevano acquistato case con mutui di importo che va oltre il limite dei 730 mila dollari previsto per l’intervento di Fannie Mae e Freddie Mac, una percentuale che rischia di crescere ulteriormente a causa delle centinaia di migliaia di licenziamenti già avvenuti e di un volume ancora più elevato previsto da qui a metà del 2010, se non addirittura sino alla fine di quell’anno, di donne e di uomini con redditi superiori ai 100 mila dollari annui, per non parlare di quelle decine di migliaia di licenziamenti che hanno colpito i percettori di redditi ancora più elevati e che si erano impegnati nell’acquisto di dimore lussuose per importi cifrabili nell’ordine di alcuni milioni di dollari, non a caso quelle che hanno subito i maggiori deprezzamenti nelle spietate valutazioni fatte dagli speculatori specializzati nell’approfittare delle disgrazie altrui, valutazioni che in non pochi casi non si spingono al di là di un terzo del valore stimato durante il boom immobiliare bruscamente terminato a metà del 2006!
Agli ottimisti a un tanto al chilo e agli speranzosi membri del Dream Team obamiano mi permetto di suggerire maggiore cautela nell’intravedere germogli di ripresa, anche perché gli accuratissimi reportage dell’Associated Press riportano innumerevoli casi di famiglie con redditi che si spingono fino ai sei zeri che stanno facendo i salti mortali per non restare indietro con i pagamenti, uno sforzo che sta avvenendo a detrimento delle spese per consumi più o meno superflui, un comportamento certamente giudizioso ma che ha un impatto pressoché mortale su un economia, quale è quella statunitense, che trae più del 70 per cento del suo propellente proprio dalla elevata propensione a spendere anche più di quanto si guadagna, o, per meglio dire, si guadagnava nei lontani tempi dell’Eldorado rappresentato dalla crescita perenne.
Molto più significativo, almeno sull’arido piano statistico, è quanto sta avvenendo per le classi di reddito medie e per quelle basse, per quei poco meno di sette milioni di percettori di sussidi di disoccupazione che, pur con il lieve calo registrato nell’ultima settimana considerata, crescono a ritmi superiori alle seicentomila unità, per i 13,7 milioni di disoccupati contati dalle statistiche ufficiali e per quegli oltre 24 milioni stimati applicando il criterio delle unità di lavoro a tempo pieno equivalenti e includendo quanti si allontano dal mercato del lavoro solo perché troppo scoraggiati per sottoporsi all’ennesimo e infruttifero colloquio.
Si tratta di un campione molto più rappresentativo dell’universo dei consumatori americani, un campione composto da decine di milioni di famiglie che stanno veramente facendo i salti mortali per assicurare il necessario ai propri componenti, uno sforzo che è in larga misura basato su sussidi in denaro e in buoni alimentari finanziati da fondi federali e da quelli oramai ridotti al lumicino delle amministrazioni locali che fanno sempre più fatica a piazzare i cosiddetti munibonds, per non parlare della generosità delle associazioni religiose e caritatevoli e dei singoli individui che cercano di portare soccorso ai propri vicini piombati, spesso da un giorno all’altro, da una situazione decorosa a qualcosa che somiglia ogni giorno che passa sempre più all’indigenza.
Non avendo vissuto, se non attraverso qualche lettura, la triste e lunghissima esperienza che prese il nome di Grande Depressione, non sono assolutamente in grado di dire se quello che sta avvenendo nella nazione economicamente e militarmente più forte del pianeta rappresenti, seppure in nuce, la riproposizione di quello scenario che si pensava appartenere definitivamente a un passato da dimenticare, ma quello che posso dire con relativa certezza è che, se le immense risorse destinate a salvare Wall Street fossero state indirizzate verso la necessaria rinegoziazione dei mutui di ogni ordine e specie, non saremmo giunti a questo punto!
Ricordo che il video del mio intervento al Convegno della UIL sulla crisi finanziaria è presente sul sito dell’associazione FLIP, all’indirizzo http://www.flipnews.org/ . Riproduzione della presente puntata possibile solo citando l’autore e l’indirizzo del blog