martedì 19 maggio 2009

La tempesta perfetta non si placherà finché continuerà lo sciopero degli investitori!


Quella vissuta ieri sui mercati finanziari internazionali, eccezion fatta per l’Asia per mere ragioni di fuso orario, sarà certamente una giornata da ricordare in questa fase della tempesta perfetta che, non del tutto a caso, è stata battezzata la corsa dell’orso, anche se qualcuno l’ha definita molto malignamente il rimbalzo del consiglio morto ove lo stesso povero animale venga gettato sul pavimento.

Dopo un’apertura non certo esaltante sui mercati azionari europei, influenzati dalla brutta chiusura di venerdì a Wall Street e dalla performance negativa del Nikkei e di altri mercati asiatici, tutto è improvvisamente cambiato con l’apertura di New York, segno che il week end aveva portato consiglio ai molto timorosi operatori che hanno trovato in dati negativi ma migliori del previsto lo spunto per riprendere a convincersi che, tutto sommato, il peggio poteva essere considerato alle spalle e che bisognava mettersi a comprare al più presto.

Ho fatto una certa fatica a comprendere il buono che c’era nelle notizie che tanto hanno ispirato gli operatori, ma credo che il fatto che importanti catene composte da negozi legati ai piccoli lavori che ognuno di noi può, se ne ha la voglia, fare a casa propria abbiano segnalato, nel primo trimestre, profitti inferiori di ‘solo’ il 22 per cento rispetto a quelli relativi allo stesso periodo dell’anno precedente sia stato visto come un segnale di ripresa del settore immobiliare ed edilizio, quello che da poco meno di due anni segnala una situazione terrificante, un collegamento che è sembrato rafforzarsi con il picco toccato dalle aspettative dei costruttori, o almeno di quelli che non sono ancora falliti!

Non sono un esperto in materia, ma credo proprio che sia il caso di interrogarsi sull’improvviso ritorno del fai da te nelle case americane, un segnale più della volontà di non pagare coloro che questi lavori li svolgono professionalmente che di un ritrovato amore per il bricolage, una volontà che pare molto più dettata dalla necessità e dallo stato non proprio esaltante delle finanze di un rilevante numero di famiglie americane, molte delle quali la casa l’hanno persa e continuano a perderla al ritmo di 340 mila al mese nell’ultimo bimestre, mentre poco meno di sei milioni di donne e di uomini hanno perso il lavoro, mentre più o meno altrettanti hanno dovuto accettare di lavorare a part time non per una scelta di vita ma solo per non perdere del tutto il lavoro.

Credo proprio che, al di là del poco meno che inconsistente pretesto, vi sia in giro una voglia irresistibile di fare finta che sia possibile risolvere i problemi attuali semplicemente ignorandoli, anche perché le ultime informazioni sulle procedure di esproprio, l’apertura di nuovi cantieri, le vendite di case nuove o ‘usate’ sono decisamente pessime, così come non si capisce che fine abbiano fatto i progetti della nuova amministrazione statunitense volti ad aggredire la causa principale del meltdown immobiliare, le clausole particolarmente onerose di cui sono infarciti i mutui subprime e i micidiali ARM, mediante un’opportuna rinegoziazione dei contratti, un’ipotesi fortemente avversata dalle banche, sì anche da quelle che hanno ricevuto soldi dei contribuenti per 45 miliardi di dollari cadauna, Citigroup e Bank of America tanto per non fare nomi, nonché sono state alleggerite di titoli più o meno tossici della finanza strutturata per svariate centinaia di miliardi di dollari, aiuti che erano strettamente collegati sia al mantenimento di flussi adeguati di credito all’economia sia all’ impegno di venire incontro ai mutuatari in difficoltà.

E’ evidente come quella che stiamo attraversando sia forse la fase più delicata della tempesta perfetta, non fosse altro che perché è oramai chiaro che sia i governi che le banche centrali hanno dato fondo a tutte le risorse a loro disposizione, in realtà molto, ma molto di più delle stesse, il che implica che ora bisogna solo aspettare la risposta degli operatori e dei risparmiatori/investitori, una risposta che viene anticipata dalle cosiddette mani forti presenti nel mercato finanziario, ma che non sembra ancora all’altezza delle aspettative dei leaders politici e dei regolatori.

Se, come ha efficacemente ricordato Obama, manca più o meno metà del mercato finanziario, è davvero difficile che questi continui tentativi di fare partire l’auto a spinta possano avere successo per più di qualche seduta, perché, come ben sanno sia il nuovo inquilino della Casa Bianca che i suoi prestigiosi consiglieri, continueremo a galleggiare nella situazione attuale fino a che gli investitori istituzionali e quelli al dettaglio non decideranno di riprendere a fidarsi dei titoli della finanza più o meno strutturata emessi sia dalle banche che dalle imprese di ogni ordine e grado, lo stesso infernale meccanismo che ci ha portati al disastro attuale e che rappresenta l’altra e indispensabile faccia del tanto vituperato effetto leva.

Come ben sanno i miei lettori, le vere cause della tempesta perfetta oramai entrata nel suo ventiduesimo mese di vita risiedono proprio in quel meccanismo che replicava per un numero ennesimo di volte l’erogazione di un credito, liberando in tempi rapidissimi il finanziatore dal rischio connesso al prestito erogato, un prestito che finiva in titoli più o meno complessi che, a loro volta, consentivano di mettere in piedi altre operazioni più o meno derivate, un meccanismo perverso che veniva facilitato sia dalla globalizzazione dei mercati che da quella deregolamentazione selvaggia che aveva fatto saltare gli ultimi paletti posti da legislatori del passato che avevano tratto in qualche modo qualche lezione dall’esperienza della Grande Depressione.

Poiché è difficilmente ipotizzabile che gli investitori possano essere convinti con la forza a mettere i proprio soldi in questo meccanismo, l’unica ipotesi realistica per il futuro non può che replicare quanto è avvenuto, e sta ancora avvenendo, in Giappone dopo lo scoppio della bolla immobiliare e di quella azionaria nell’oramai lontano 1989, una stagnazione dell’economia che dura da un ventennio e che si accompagna ad una ricchezza finanziaria pro capite che ha pochi eguali al mondo!

Ricordo che il video del mio intervento al Convegno della UIL sulla crisi finanziaria è presente sul sito dei dell’associazione FLIP, all’indirizzo http://www.flipnews.org/ . Riproduzione della presente puntata possibile solo citando l’autore e l’indirizzo del blog