venerdì 22 maggio 2009

Tremonti accetta la sottomissione di Profumo!


Stavolta non sono stati i dati sull’andamento del settore immobiliare statunitense, né i tonfi a ripetizione della produzione industriale e neppure i crolli del prodotto interno lordo della maggior parte dei paesi industrializzati, notizie rispetto alle quali gli alquanto drogati mercati azionari replicano con poco più che un’alzata di spalle, una reazione che è meno possibile quando la secchiata di acqua gelida sugli ottimisti a un tanto al chilo viene direttamente da Bernspan e dai suoi complici, cioè dal cuore stesso di quel sistema della riserva federale che ha inondato letteralmente i mercati di liquidità e ha portato i tassi interbancari ufficiali atre mesi in uno strettissimo corridoio compreso tra lo zero e lo 0,25 per cento.

Ebbene, cosa ha pensato bene di comunicare la banca centrale a stelle e strisce agli operatori, agli analisti, agli investitori? Nient’altro che si erano un po’ sbagliati e che le stime per l’anno in corso vanno viste al ribasso, così come le previsioni per il 2010, revisioni molto significative per il prodotto interno lordo a stelle e strisce, per il tasso di disoccupazione, mentre il tasso di inflazione continua a non destare soverchie preoccupazioni, indicazioni che, tradotte in termini di politica monetaria, stanno a indicare che per molto tempo ancora non ci si discosterà dalla pratica dei tassi nominali a zero e di quelli reali abbondantemente al di sotto di tale livello.

Ma Bernspan, in perfetta sintonia con quanto stava dicendo nella stessa giornata di ieri il nuovo ministro del Tesoro, non se l’è sentita proprio di continuare a propalare ai quattro venti la tavoletta delle banche oramai fuori pericolo, anche perché le prove di resistenza alle quali ha appena sottoposto le prime diciannove entità operanti nel mercato finanziario statunitense e quello un po’ più artigianale condotto per conto del Wall Street Journal su novecento banche di varia dimensione hanno evidenziato che occorrono almeno 767 miliardi di dollari di nuova capitalizzazione soltanto per stare relativamente tranquilli, così come è chiaro a tutti che ci si aspetta che queste somme vengano sborsate dagli azionisti, non fosse altro che per il fatto che dei 700 miliardi del TARP non è rimasta che una disponibilità di poco superiore al dieci per cento e che la stessa è stata appena prenotata dalle sei compagnie di assicurazione ammesse alla spartizione!

D’altra parte, sia che la Fed che il Tesoro hanno dato poche settimane alle dieci banche di grandi dimensioni giudicate sottocapitalizzate per predisporre le relative modalità, ponendo una deadline al 6 giugno per annunciare le stesse al mercato, anche se quella vecchia volpe di Lewis, CEO di Bank of America nel mirino dei consulenti di Obama, ha bruciato tutti sul tempo, annunciando ieri di avere già raccolto poco meno di 14 dei 34,9 miliardi di dollari necessari, un’operazione che è iniziata in sordina due settimane orsono, in sorprendente coincidenza con la costosissima uscita del fondo governativa di Singapore Temasek, che dal duplice investimento su Merrill Lynch, poi fusa in BofA, ha lasciato sul terreno poco meno di 5 dei 7,6 miliardi investiti, una tempestività quantomeno sospetta e che fa pensare che abbiano ‘intuito’ che sarebbero stati chiamati a mettere nuovamente mano al portafoglio, un’ipotesi che ha spinto i suoi massimi dirigenti e forse lo stesso Governo della piccola città-stato a levare precipitosamente le tende dal colosso creditizio statunitense.

Ovviamente, l’esempio di BofA è stato seguito, in qualche caso anche preceduto, da altre entità di minori dimensioni, ed è facile ipotizzare che, nei prossimi mesi, vi sarà un affollamento di richieste al mercato, in quanto alle croniche necessità del Tesoro si sommeranno gli aumenti di capitale ‘spintaneamente’ decisi dalle banche appartenenti a entrambi i campioni messi sotto esame, un affollamento che non promette nulla di buono sia alla luce dell’andamento non esaltante delle aste, sia per la crescente ritrosia mostrata dagli azionisti vecchi e nuovi rispetto all’ipotesi di acquistare, seppure a prezzi stracciati, ulteriori azioni di banche e compagnie di assicurazioni, una situazione che ha già costretto la Fed a venire più volte in soccorso del Tesoro, mentre è da segnalare il fatto che, per la prima volta nella sua storia, l’India ha deciso di sottoscrivere titoli del Tesoro statunitense per 20 miliardi di dollari.

A complicare ulteriormente il problema del soddisfacimento delle crescenti esigenze del Tesoro a stelle e strisce è venuta poi la nuova politica seguita dagli accorti gestori della ingente liquidità cinese, che stanno sempre più operando come venditori dei Treasury Bonds a scadenze più lunghe e come acquirenti dei ben poco remunerativi, ma certamente meno impegnativi, Treasury Bills, un comportamento, quello dei gestori cinesi, che sta destando molta preoccupazione nelle autorità monetarie statunitensi che sanno benissimo che il 2009 sarà un anno difficilissimo sul piano della concorrenza tra gli Stati posti sia al di qua che al di là dell’Oceano Atlantico, per il semplice motivo che vi saranno emissioni per migliaia di miliardi di dollari destinate, più o meno, agli stessi soggetti, investitori istituzionali e semplici investitori, che non sembrano del tutto entusiasti della prospettiva.

Non mi sono intromesso nell’ennesima diatriba che ha visto protagonista il per la terza volta ministro italiano dell’Economia, Giulio Tremonti, che, apparentemente ignaro di essere seduto a fianco del presidente dell’Associazione bancaria italiana, Corrado Faissola, in occasione del Liquidity Day, non ha perso l’occasione per attaccare violentemente i banchieri nostrani, rei, a suo avviso, di pensare più al proprio look che alle esigenze delle loro stesse banche, figuriamoci poi del Paese, nonché di non avere capito la bontà dello strumento che porta il suo nome, quasi non avesse memoria alcuna dei giudizi pesantissimi che, come singoli e come associazione, gli stessi banchieri avevano riservato ai Tremonti Bonds, un giudizio che non era mutato di molto neppure dopo che erano state apportate alcune modifiche volute proprio dall’ABI, anche se fa piacere sapere che, poco prima della solenne riunione, Alessandro profumo aveva deciso di rompere gli indugi e di prenotare due dei dodici miliardi di euro messi gentilmente a disposizione da Giulio!

Ricordo che il video del mio intervento al Convegno della UIL sulla crisi finanziaria è presente sul sito dell’associazione FLIP, all’indirizzo http://www.flipnews.org/ . Riproduzione della presente puntata possibile solo citando l’autore e l’indirizzo del blog