Sono almeno venti mesi che sottolineo la centralità del Non Farm Payrolls, il dato che fotografa mensilmente il saldo netto degli occupati non agricoli statunitensi pubblici e privati e che viene diffuso insieme al tasso di disoccupazione che viene elaborato separatamente, due informazioni che hanno un effetto psicologico sui cittadini statunitensi di gran lunga superiore a qualunque altra informazione economica resa disponibile da un sistema informativo che, per qualità, quantità e cadenza dei dati resi disponibili, non ha pari in nessuno dei paesi maggiormente industrializzati europei e asiatici.
In una puntata precedente del Diario della crisi finanziaria, incentrata sulla sempre minore attendibilità dei bilanci delle entità protagoniste del mercato finanziario a stelle e strisce dopo la decisione dell’ente federale che sovrintende alla determinazione dei criteri contabili cui devono adeguarsi le società statunitensi, una decisione che autorizzava il passaggio dal mark to market al mark to fantasy, avevo messo in guardia i lettori rispetto alla possibilità che anche le informazioni statistiche potessero diventare meno attendibili rispetto al passato, un warning che non prevedeva affatto che si potesse giungere a una manipolazione dei dati, quanto al fatto che gli stessi sarebbero stati fortemente influenzati dalle misure messe in atto dalla nuova amministrazione e approvate spron battuto dal Congresso.
In realtà, una delle caratteristiche distintive dell’attuale tempesta perfetta rispetto sia alla sua omologa del 1907 sia a quella avviatasi con il crollo di Wall Street nell’ottobre del 1929 è data dal fatto che sia l’amministrazione Bush che quella successiva non sono state inerti di fronte a quanto accadeva sui mercati, un attivismo che ha fatto decisamente il paio con quello delle autorità monetarie, Tesoro e sistema della riserva federale, e che ha da un lato impedito il collasso totale del sistema finanziario all’indomani del fallimento di Lehman Brothers mediante la messa in sicurezza de depositi bancari e di quelli interbancari, mentre, dall’altro, ha iniettato ingentissime risorse sia in favore delle entità protagoniste del mercato finanziario statunitense, sia maxi piani di spesa che si sono succeduti nei tre esercizi toccati dalla più grave crisi finanziaria mai verificatasi a memoria di uomo.
Il lungo preambolo è essenziale per comprendere appieno la gravità dei dati relativi al mercato del lavoro statunitense, per la semplice e ovvia ragione che, in assenza delle provvidenziali iniezioni di liquidità sui mercati, su tutti i mercati, e senza la rete di garanzie stesa a metà dell’ottobre del 2008 dagli Stati Uniti d’America, dai principali paesi europei, dal Giappone dalla Russia e dalla Cina, le pesanti perdite di posti di lavoro registrate negli ultimi mesi, così come il balzo in avanti del tasso di disoccupazione ‘ufficiale’ sarebbero stati, sia negli USA che altrove, ancora più drammatici, un impatto in controtendenza che verrà certamente stimato in futuro e con sufficiente esattezza dagli storici dell’economia, ma che è oggi impossibile valutare in quanto sia gli analisti, che gli economisti, per non parlare dei centri studi delle entità finanziarie, sono troppo presi a seguire la cronaca densissima di avvenimenti di questi ultimi ventuno mesi nei quali davvero sta vorticosamente cambiando tutto, al punto che, mai come in questa turbolenta fase, è molto difficile trovare stabili e attendibili punti di riferimento.
So bene che i giornali di oggi titoleranno con risalto ed evidente sollievo in merito alla riduzione del numero dei posti di lavoro persi nel mese di aprile rispetto ai dati resi noti nei mesi precedenti e rispetto alle stesse stime di consensus degli analisti, un sollievo mitigato dall’ennesimo balzo in avanti del tasso di disoccupazione, una situazione che provoca in me l’imbarazzo di svolgere, anche se con profondo dispiacere, il mio abituale ruolo di guastafeste, un ruolo dettato dall’abitudine di leggere i dati anche in controluce.
Non vi è dubbio, infatti, che è un bene che il saldo netto negativo di aprile si sia ridotto a 539 mila unità, un dato certamente inferiore sia ai 681 mila posti di lavoro bruciati in marzo, sia ai 699 mila di febbraio e ai 741 mila di gennaio, anche se va tenuto conto che, in prima lettura, sia il dato di febbraio che quello di marzo erano sensibilmente pi favorevoli di quelli revisionati resi noti ieri e lo erano, rispettivamente, di 36 mila e di 30 mila unità, sottostime più che normali ma che non consentono di escludere che anche il mese prossimo saremo costretti a correggere al rialzo il dato reso noto ieri.
Ma l’aspetto che più mi preme di rilevare è quello relativo all’apporto positivo per 66 mila unità derivante dalle assunzioni nella pubblica amministrazione statunitense, anche perché 63 mila di questi posti di lavoro sono temporanei e legati a rilevamenti censuari, mentre si è ridotta, ma non di molto, l’emorragia di posti di lavoro nell’industria, nelle costruzioni, nei servizi e nel settore finanziario, tutti settori che sono in rosso più o meno profondo oramai da lungo tempo e di fatto senza soluzione di continuità, per non parlare del fatto che quelli persi nell’ultimo anno e mezzo sono lavori normalmente ben pagati e che venivano considerati relativamente stabili.
Al di là delle sottigliezze statistiche, negli ultimi quattro mesi il saldo netto delle buste paga è stato negativo per 2 milioni e 660 mila unità, mentre il tasso di disoccupazione si è oramai portato a ridosso della soglia psicologica del 9 per cento (8,9 per cento in aprile, contro l’8,5 di marzo), un dato pressoché doppio di quello registrato prima dell’avvio della tempesta perfetta e che corrisponde a 13 milioni e 700 mila persone in carne e ossa, ma che non tiene conto del massiccio fenomeno della rinuncia alla ricerca di un posto di lavoro e che considera i part time equivalenti a quelli a tempo pieno, sottrazioni e aggiustamenti statistici che vengono accuratamente stimati dagli addetti ai lavori che ci informano che il tasso effettivo di disoccupazione sarebbe in realtà pari al 15,8 per cento, il che vuole dire che sono 24 milioni e 321 mila le donne e gli uomini americani che si trovano a essere esclusi da una qualsivoglia attività lavorativa!
Ricordo che il video del mio intervento al Convegno della UIL sulla crisi finanziaria è presente sul sito dei dell’associazione FLIP, all’indirizzo http://www.flipnews.org/ . Riproduzione della presente puntata possibile solo citando l’autore e l’indirizzo del blog.